La Camera accelera sulle nuove norme per lo smart working. In commissione Lavoro è stato raggiunto l’accordo sul testo unificato che punta a superare l’Accordo individuale come unica fonte di regole e organizzazione della modalità agile di esecuzione del lavoro, valorizzando la contrattazione collettiva.
Entrando nel dettaglio, è l’articolo 2 del testo ad affrontare questo aspetto, affidando appunto al contratto collettivo la determinazione della responsabilità del datore di lavoro e del lavoratore per quanto attiene alla sicurezza e al buon funzionamento degli strumenti tecnologici; il riconoscimento, per esigenze di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, del diritto alla priorità per le richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile presentate dai lavoratori in condizioni di disabilità.
Sempre alla contrattazione è demandata, tra le altre cose, l’equiparazione di trattamento economico e giuridico del personale in modalità agile e del personale in presenza a tutti i settori occupazionali includendo lo sviluppo delle opportunità di carriera e di crescita retributiva, nonché la formazione, all’apprendimento permanente con la conseguente periodica certificazione delle relative competenze; la tutela della salute e sicurezza; la fruizione dei diritti sindacali; le modalità e i limiti di esercizio del potere direttivo e di controllo del datore di lavoro; il diritto a usufruire delle ferie e dei permessi; le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche.
Il datore di lavoro potrà godere di misure di sostegno, promozione ed incentivazione, in favore del lavoro in modalità agile, “a condizione che vengano applicati trattamenti non inferiori, rispetto a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali di categoria stipulati dalle organizzazioni sindacali, nonché il rispetto dei diritti e delle garanzie”, si legge nel testo.
Il comma 4 dell’articolo 2 stabilisce che al lavoratore in modalità agile spettino i medesimi incentivi di carattere fiscale e contributivo eventualmente riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato.
Focus sul diritto alla disconnessione. L’articolo 4 introduce l’articolo 24-bis della legge 22 maggio 2017, n. 81, concernente “il diritto soggettivo di disconnessione dallo spazio digitale e di interruzione della connessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche in proprio possesso, senza che questo possa comportare effetti negativi di natura disciplinare o decurtazioni retributive”.
Previsti corsi di formazione continua e permanente per l’utilizzo delle strumentazioni tecnologiche (articolo 7) e l’istituzione di un credito di imposta (articolo 8) già previsto per gli investimenti in Industria 4.0 “per l’acquisto di strumenti per l’organizzazione e la gestione, nonché di apparecchiature e di software messi a disposizione del personale impiegato in attività lavorative in modalità agile, effettuati entro i due anni successivi all’entrata in vigore della legge”.
L’articolo 12 prevede che, infine, che con l’obiettivo di modernizzare e perfezionare gli strumenti necessari al lavoro agile i datori di lavoro possano usufruire della consulenza di uno degli Innovation Manager, iscritti all’Albo degli esperti in innovazione tecnologica istituito presso il Ministero dello sviluppo economico.
“In qualità di relatrice, sono molto soddisfatta per l’accordo raggiunto in commissione Lavoro alla Camera sul testo unificato per aggiornare la disciplina dello smart working. È stato un lavoro che ha proficuamente coinvolto tutte le forze politiche e che auspico vada avanti con la stessa intensità per garantire una rapida approvazione del provvedimento”, dice Maria Pallini, deputata del Movimento 5 stelle, componente della commissione Lavoro.
“L’emergenza sanitaria – prosegue – ha determinato una forte accelerazione nella diffusione del lavoro agile che, con l’obiettivo principale di ridurre il rischio di contagio sui luoghi di lavoro, ha coinvolto quasi 9 milioni di lavoratori. Secondo un sondaggio Swg, il 61% di chi ancora lo pratica ne dà un giudizio positivo. Alla luce di ciò, si avverte l’esigenza di approvare una normativa adeguata al cambiamento avvenuto, capace di offrire forme di flessibilità dei tempi e dei luoghi di lavoro”.
“Il diritto soggettivo alla disconnessione per garantire al lavoratore, sia in presenza sia in modalità agile, la possibilità di estraniarsi dallo spazio digitale e interrompere la connessione dalle strumentazioni tecnologiche, è uno dei punti cardine della proposta di legge – conclude Pallini – A ciò si uniscono altre importanti previsioni come l’istituzione di corsi di aggiornamento sull’innovazione tecnologica, per garantire ai lavoratori una formazione continua e permanente, e l’erogazione di incentivi per le aziende che promuovono lo smart working. Un lavoro importante da mandare in porto”.
Smart working, istituita la figura del “nomade digitale”
Intanto è stato approvato nel Decreto “Sostegni-ter” un emendamento che introduce nel nostro ordinamento la figura del digital nomad worker con l’obiettivo di attrarre talenti dall’estero. “Un buon risultato che segue un grande lavoro portato avanti da mesi, anche grazie al Ministero degli Esteri, sintetizzato nella Proposta di Legge che ho presentato con l’amica e collega Anna Laura Orrico”, commenta il deputato 5 Stelle, Luca Carabetta.
La norma definisce come “remote worker” un lavoratore straniero il cui reddito prevalente derivi da attività estere, residente temporaneo della Repubblica Italiana. I requisiti per il remote worker sono la disponibilità di un’idonea sistemazione, un congruo reddito, un’assicurazione sanitaria e la fedina penale pulita.
“Per tali soggetti, nel caso in cui svolgano l’attività in Italia, non è richiesto il nullaosta al lavoro, ed il permesso di soggiorno, previa acquisizione del visto d’ingresso – si legge nell’emendamento – è rilasciato per un periodo non superiore ad un anno, a condizione che il titolare abbia la disponibilità di un’assicurazione sanitaria, a copertura di tutti i rischi nel territorio nazionale, e che vengano rispettate le disposizioni di carattere fiscale e contributivo vigenti nell’ordinamento nazionale”.
Si prevede che con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con il Ministro del turismo e con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, vengano adottate entro trenta giorni dall’entrata in vigore delle norme le modalità e i requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno, comprese le categorie di lavoratori altamente qualificati che possono beneficiare del permesso, i limiti minimi di reddito nonché le modalità necessarie per la verifica dell’attività lavorativa da svolgere.
Viene infine regolata la possibilità per il remote worker di collaborare con soggetti economici italiani.
Il provvedimento va a colmare un vuoto normativo: in molti Paesi infatti non è possibile entrare come turista e lì svolgere attività lavorativa. Motivo per cui è necessario un visto o comunque un permesso.
L’Estonia è stato il primo Paese a creare un programma di residenza digitale (e-residency) che consente agli imprenditori stranieri di aprire un’azienda con sede nell’Unione europea. Da giugno del 2020 rilascia anche un visto della durata di un anno per nomadi digitali e remote worker che possono così lavorare da remoto e vivere regolarmente nel Paese.