Teleperformance, l’azienda di call center in crisi da tempo, ha ottenuto l’apertura di un tavolo al Ministero dello Sviluppo Economico la settimana prossima. Al tavolo prenderanno parte anche la Regione Puglia – saltato l’incontro previsto ieri – e il Lazio. L’obiettivo è trovare una soluzione in extremis ed evitare così il licenziamento di 632 dipendenti nella sede di Taranto a fine anno, preannunciato dall’azienda in caso di mancato abbattimento dei costi. “In mancanza di un accordo con i sindacati sulla riduzione dell’orario di lavoro da 6 a 4 ore al giorno – dice al Corriere delle Comunicazioni Paolo Sarzana, responsabile Marketing e Communication & Pubblic Affairs di Teleperformance – il rischio è che la casa madre francese decida di chiudere le attività in Italia a fine anno. La nostra proposta di ridurre l’orario di lavoro è volta trovare una soluzione normativa per non tagliare il salario dei lavoratori che si dovranno ridurre l’orario di lavoro. Le sei ore non le reggiamo più, per carenza di commesse”.
A Taranto, secondo stime dell’azienda, ci sono 2000 dipendenti, più circa 700-800 persone con contratti a progetto. A Roma Parco Leonardo circa 500 dipendenti. Dopo 30 mesi, la cassa integrazione a rotazione scadrà a fine anno.
I sindacati Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Ugl telecomunicazioni rifiutano l’ipotesi di riduzione dell’orario di lavoro. Oggi, la Slc-Cgil è andata all’attacco: “I vecchi saggi dicevano che non si può avere la moglie ubriaca e la botte piena”, dice Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cgil, alle dichiarazioni rilasciate dai vertici di Teleperformance in merito alla procedura di licenziamento di 632 lavoratori.
“All’azienda abbiamo offerto la possibilità di operare con un orario flessibile che gli consenta di poter usare il personale su commesse diverse da quello su cui oggi operano – continua Azzola – La risposta che ci è stata data è che questi lavoratori costano troppo rispetto alle attività di outbound oggi gestite attraverso migliaia di lavoratori a progetto che sono sottopagati rispetto a quanto previsto dalla riforma Fornero”.
“L’azienda deve decidere cosa vuole – prosegue il sindacalista – Ha spostato commesse importanti in Albania – non rispettando quanto previsto dalle leggi vigenti sulla trasparenza e garanzia dei dati personali – o utilizza personale sottocosto per le attività di outbound e poi chiede ai lavoratori una riduzione di un terzo sia dell’orario di lavoro che della retribuzione.”
“Tutti sono capaci di fare gli imprenditori in questo modo: si prende il lavoro sottocosto in dumping rispetto alle altre imprese e poi si toglie salario e diritti ai lavoratori o si sposta l’attività direttamente in Albania”, chiude Azzola. Teleperformance replica che l’Albania è un paese dove si parla italiano e dove il costo del lavoro è molto più contenuto che in Italia. Per questo diversi clienti chiedono servizi da quel paese.