IN PARLAMENTO

Lavoro, il M5S: “Serve uno uno statuto per i content creators”

Presentata una mozione in cui si chiede al governo di adottare misure a tutela dei diritti di chi realizza contenuti per il web. La prima firmataria, Valentina Barzotti: “Istituire un tavolo tecnico”

Pubblicato il 11 Mag 2022

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Più tutele a creatori contenuti digitali. È quanto chiede una mozione del Movimento 5 Stelle, prima firmataria la deputata Valentina Barzotti. “L’indagine conoscitiva sui creatori di contenuti digitali, da me promossa in commissione Lavoro alla Camera, ha evidenziato la presenza di importanti disequilibri nella ‘creator economy’: per questo è necessario definire un quadro di tutele dei creatori operanti anche nel nostro Paese – spiega Barzotti – Non a caso, l’Unione europea sta dedicando grande attenzione al tema del digitale con provvedimenti come il ‘digital markets act’ e la proposta di direttiva relativa al lavoro mediante le piattaforme digitali. Abbiamo quindi presentato una mozione con cui chiediamo al Governo di adottare una serie di iniziative che si muovano esattamente in questa direzione”.

“Fra queste – aggiunge – c’è anche l’introduzione di uno statuto per i lavoratori del web, che deve prevedere il riconoscimento di diritti e tutele del rapporto di lavoro tra i creatori di contenuti digitali e le società proprietarie delle piattaforme. A tal fine, reputiamo necessario istituire un tavolo tecnico con la partecipazione delle società proprietarie delle piattaforme di social media e degli operatori del settore”. “Auspichiamo che il testo venga incardinato quanto prima: l’obiettivo è portalo in Aula nel prossimo trimestre” conclude Barzotti.

L’indagine conoscitiva della Camera

Lo scorso 11 marzo la commissione Lavoro della Camera ha dato il via libera all’indagine conoscitiva sui lavoratori che svolgono attività di creazione di contenuti digitali.

L’indagine ha evidenziato come nel nostro Paese manchi ancora una soddisfacente ricostruzione del fenomeno della creazione di contenuti digitali, basata su dati amministrativi o statistici ufficiali. In parte, si tratta di una difficoltà fisiologica, in quanto la creazione e la condivisione di contenuti online è un fenomeno in continua diffusione e crescita e non si presta ad essere cristallizzato in forme e dati prestabiliti.

Inoltre il lavoratore nella creator economy non è solo il prestatore di un’opera intellettuale o di un servizio di creazione, ma è al tempo stesso un utilizzatore della piattaforma, ancorché lo faccia (anche) a scopo lavorativo.

Per tutti questi motivi, secondo quanto emerso dall’indagine, lo statuto di tutele da applicare ai creatori dei contenuti “dovrà necessariamente essere individuato traendo i propri elementi, in parte, dalla disciplina del lavoro autonomo e, in particolare, da quella del lavoro autonomo di seconda generazione, in parte, dalla normativa di tutela dei consumatori e degli utenti, e, in parte, da forme di protezione analoghe a quelle riconosciute ai lavoratori dipendenti”.

I deputati lanciano l’allarme sull’esistenza di un forte squilibrio nella forza contrattuale delle parti del rapporto, che si traduce innanzitutto nell’impossibilità per i creatori di incidere sulla regolazione del rapporto stesso, che è stabilita, in modo unilaterale, dalla piattaforma.

In questo contesto, secondo i deputati, di fronte a imprese che operano su scala internazionale, la risposta non potrebbe essere locale, ma coordinamento sovranazionale “attraverso il coinvolgimento degli organismi di rappresentanza già esistenti a livello transnazionale come i comitati aziendali europei e gli organismi di rappresentanza delle società europee”.

Un ulteriore livello di è rappresentato dalla presenza di un servizio, assicurato dalla controparte contrattuale, al quale rivolgersi in caso di contestazioni o segnalazioni di criticità o disservizi. “Da questo punto di vista, la risposta alle esigenze degli operatori è rappresentata dall’esistenza di un servizio di assistenza organizzato dalla piattaforma all’interno dello Stato in cui viene reso il servizio, che abbia una dimensione adeguata rispetto al numero degli utenti che esercitano la propria attività nell’ambito della piattaforma stessa”. In alternativa potranno essere individuati utili riferimenti nelle varie disposizioni in elaborazione nell’ambito dell’Unione europea.

“L’attivazione di adeguate forme di confronto preventivo e di soluzione stragiudiziale delle controversie rappresenta uno strumento essenziale anche per limitare gli effetti di provvedimenti sanzionatori sforniti di sufficienti motivazioni – si legge – in modo da escludere che misure particolarmente afflittive siano adottate esclusivamente sulla base di decisioni prese per effetto dell’applicazione di un algoritmo e senza una verifica umana”. Per quanto riguarda le tutele più specificamente lavoristiche, data la difficoltà ad applicare la normativa del lavoro subordinato, il punto di riferimento è senza dubbio rappresentato dallo Statuto del lavoro autonomo (legge n. 81 del 2017) che dovrebbe però essere aggiornato, tenendo conto anche della rapidissima evoluzione del ricorso alle tecnologie, ulteriormente accentuatosi nel corso della pandemia.

“È  quanto mai opportuno che si realizzi un’opera di rielaborazione in un unico compendio normativo delle norme che regolano i rapporti che ne costituiscono la base, senza volerne cristallizzare la disciplina in modo rigido con la riconduzione a forme di lavoro tradizionali – conclude l’indagine –  In questo modo, raccogliendo anche i principi e le disposizioni elaborati nell’ambito dell’Unione europea, si potrà costituire uno statuto di tutele per questi lavoratori del web che tenga in considerazione tanto l’elemento della dipendenza funzionale dei lavoratori dalle piattaforme, quanto il significativo squilibrio che caratterizza i rapporti che vengo costituiti. A tale fine, potrebbe essere opportuna la costituzione di un tavolo di esperti per approfondire tali problematiche e per proporre soluzioni normative da inserire nello statuto del lavoro autonomo”.

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