L’economia dei dati potrebbe raggiungere i 550 miliardi di euro in Europa entro il 2025, secondo una previsione della Commissione Ue. Ma la strada è ancora lunga. E uno degli “ostacoli” da superare è la sfiducia degli utenti. I consumatori infatti, pur essendo “affamati” di innovazione digitale, mostrano ancora diffidenza nei confronti dei dati digitali: il 55% degli italiani e una quota ancora maggiore degli europei – il 66% – non ha idea di chi abbia accesso alle proprie informazioni digitali. Emerge da un report di VMware secondo cui questa “sfiducia” rischia di minare il cambiamento guidato dalla tecnologia.
Indice degli argomenti
Utenti e dati digitali: il quadro in Italia
Il report fotografa uno scenario in chiaroscuro. Se da un lato gli utenti guardano con diffidenza al mondo dei dati, dall’altro la maggioranza delle persone è ben disposta verso l’innovazione, con il 58% che crede che la tecnologia possa contribuire al progresso digitale del proprio Paese creando nuovi posti di lavoro e generando nuove entrate (il 61% in Italia), e con il 68% (dato identico in Europa e in Italia) che auspica investimenti nell’innovazione tecnologica per rendere il nostro mondo un posto migliore, rispetto al 6% (il 5% in Italia), per esempio, che vuole che si investa in attività come il turismo spaziale.
Tra voglia di innovazione e diffidenza
Il divario tra l’appetito digitale e la loro (s)fiducia nella gestione dei dati potrebbe però, annotano gli analisti, frenare il potenziale della tecnologia per migliorare le nostre economie.
Mentre il 47% delle persone riconosce che l’introduzione di nuove tecnologie possa spaventare, la maggior parte ritiene tuttavia che sia necessaria per migliorare il benessere dei cittadini e della società e solo il 16% è in disaccordo con questa affermazione.
La maggior parte (58%) degli intervistati in Europa è sempre più preoccupata per la sicurezza del proprio digital footprint, dato che in Italia è decisamente più basso, con il 44% che esprime preoccupazione. Quasi tre quarti (72% in Europa, 69% in Italia) degli intervistati sono preoccupati per il ruolo che la tecnologia gioca nella diffusione della disinformazione e il 48% (45% in Italia) teme fortemente che le organizzazioni stiano tracciando e registrando le attività dai propri dispositivi. Oltre a questo, solo il 10% dei consumatori (il 12% in Italia) ritiene che le aziende e i governi siano abbastanza chiari sulle tecnologie che usano e su come le usano.
Le strategie da adottare
Tuttavia, i risultati della ricerca rivelano anche cosa il governo e il mercato devono fare per garantire che i consumatori siano a proprio agio e sicuri nella condivisione dei dati, così da tracciare la strada verso un mondo digital-first.
“Quello che viviamo – spiega Joe Baguley, vp & Cto Emea di VMware – è un momento storico cruciale per il modo in cui l’innovazione tecnologica e le esperienze digitali possono plasmare positivamente le nostre vite, le economie, la società e il Pianeta. Ma c’è una mancanza di consapevolezza sul tipo di dati necessari per guidare questo progresso, e i consumatori si sentono giustamente diffidenti”.
La maggior parte delle persone, spiega il manager, “si interessa realmente ai dati solo quando legge la notizia di una violazione e non pensa a tutte le cose incredibili che possiamo fare in medicina, con i veicoli a guida autonoma, nell’intrattenimento mobile, nello shopping. In questo momento, il prezzo percepito del progresso è troppo alto e i consumatori non sono ancora pienamente d’accordo sulla condivisione dei dati necessari per alimentare il cambiamento. Affinché i consumatori abbraccino tutto questo, devono sapere cosa succede ai loro dati – la maggior parte dei quali non è personalmente identificabile – e sentirsi sicuri che vengano gestiti in modo sicuro e sensibile”.
Come arginare la sfiducia degli utenti
Allo stato attuale, la sfiducia nei dati – si legge nel report – sta impedendo lo sviluppo del pieno potenziale che la tecnologia ha per agire come una forza positiva. Il 60% dei consumatori è spaventato o a disagio nel condividere i propri dati personali per aiutare i governi e le aziende a progettare infrastrutture più intelligenti e più green. Dato che in Italia scende a un più confortante 49%. E meno di un quinto (17%), è entusiasta della prospettiva che i sensori delle smart city possano migliorare l’efficienza dell’area di residenza, dato che in Italia sale al 27%.
“Come responsabili delle aziende, insieme ai governi – conclude Joe Baguley – dobbiamo assumere un ruolo attivo nell’aiutare i consumatori a diventare più consapevoli e sicuri dei dati, in modo da poter contribuire collettivamente a rilanciare le economie digitali. Possiamo farlo costruendo soluzioni radicate nella scelta individuale e nel controllo dei dati; ispirando ed educando le persone per avere una popolazione informata sulla tecnologia; e costruendo la fiducia che le parti che gestiscono i dati sensibili siano adatte a farlo. Gli ultimi due anni hanno visto un cambiamento epocale verso un mondo veramente digital-first, ma ora dobbiamo resettare tutto e riallinearci per inaugurare la prossima frontiera dell’innovazione”.