Google e i suoi comportamenti sul mercato dell’advertising online finiscono per la seconda volta nel mirino dell’autorità antitrust britannica Cma (Competition and markets authority). La nuova indagine si concentra sul ruolo del colosso americano nelle tecnologie pubblicitarie.
La Cma aveva già avviato un’inchiesta, insieme all’Antitrust dell’Unione europea, sull’accordo del 2018 tra Meta (allora Facebook) e Google sulla pubblicità online noto come “Jedi Blue” e che, secondo i regolatori, sarebbe stato finalizzato a restringere la concorrenza nella pubblicità digitale.
Il doppio ruolo di Google come piattaforma per la pubblicità
Questa volta la Cma ha deciso di valutare da vicino se il ruolo di Google nel settore della tecnologia pubblicitaria possa distorcere la concorrenza.
L’autorità spiega che Google funge sia da piattaforma sul lato della domanda, dove offre l’inventario pubblicitario degli editori ai marketer, sia da piattaforma di scambio di ads, dove consente agli inserzionisti di competere per lo spazio pubblicitario sui siti web degli editori. Inoltre, Google ha degli ad server che gestiscono l’inventario degli editori.
Il regolatore britannico teme che Google possa aver favorito illegalmente i propri servizi di scambio di annunci a scapito dei rivali. La Cma è anche preoccupata che Google abbia limitato la compatibilità del suo ad exchange con gli ad server di terze parti per rendere più difficile per gli ad server concorrenti rivaleggiare.
“Possibili danni per gli editori e la qualità dei contenuti”
“L’indebolimento della concorrenza in questo settore potrebbe ridurre le entrate pubblicitarie degli editori, che sarebbe così costretti a compromettere la qualità dei loro contenuti per tagliare i costi o mettere i loro contenuti dietro i paywall”, ha affermato in una nota Andrea Coscelli, direttore della Cma. Le restrizioni alla concorrenza potrebbero inoltre “aumentare i costi per gli inserzionisti che vengono trasferiti attraverso prezzi più elevati dei beni e servizi pubblicizzati”.
La Cma ha già aperto un dossier sull’accordo tra Google e Meta nel settore della pubblicità online noto come “Jedi Blue”. A marzo anche l’Antitrust Ue ha avviato un’indagine in proposito e ore le due autorità si stanno muovendo in stretta collaborazione.
Ancora aperta l’indagine sugli accordi tra Meta e Google
L’accordo, risalente al settembre 2018 e che Google ha chiamato in codice “Jedi Blue”, è stato stretto fra Google e l’allora Facebook per la partecipazione dell’Audience network di Facebook al programma Open bidding di Google.
Google fornisce servizi di tecnologia pubblicitaria che intermediano tra gli inserzionisti e gli editori attraverso la messa all’asta in tempo reale di spazi pubblicitari online su siti web o app mobili, anche attraverso il suo programma “Open bidding”. Meta fornisce servizi di pubblicità display online e, attraverso il suo “Meta Audience network”, partecipa alle aste per gli spazi pubblicitari di editori terzi utilizzando i servizi di tecnologia pubblicitaria di Google e dei rivali.
La Commissione teme che l’accordo “possa far parte degli sforzi per escludere i servizi di ad tech che competono con il programma Open bidding di Google, e quindi limitare o distorcere la concorrenza nei mercati della pubblicità display online, a scapito degli editori, e in definitiva dei consumatori”.
Se provate, le pratiche sotto indagine – secondo Bruxelles – potrebbero violare le regole di concorrenza dell’Ue sugli accordi anticoncorrenziali tra imprese e/o configurarsi come abuso di posizione dominante.
Google ha replicato dicendo che “Le accuse mosse in relazione a questo accordo sono false. Si tratta di un accordo documentato pubblicamente e a favore della competizione, che consente a Facebook Audience network (Fan) di partecipare al nostro programma Open bidding, insieme a decine di altre società”.