FORUM PA 2022

Stem al palo nella PA, solo il 5,6% dei dipendenti ha una laurea “tech”

Emerge dalla ricerca su “Lavoro pubblico 2022” realizzata da FPA. Sugli scudi le competenze in materie giuridiche ed economiche. Ma serve invertire la rotta se si vogliono sfruttare appieno le chance offerte dal Pnrr sul fronte della digitalizzazione

Pubblicato il 14 Giu 2022

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Cresce il numero dei laureati nella PA italiana ma le competenze digitali e tecnologiche ancora scarseggiano. È quanto emerge dalla ricerca su “Lavoro pubblico 2022” realizzata da FPA, società del Gruppo Digital360, presentata oggi in apertura di Forum PA 2022 “il Paese che riparte”, in programma dal 14 al 17 giugno al centro congressi Auditorium della Tecnica a Roma (e in streaming), con momenti di confronto sulla ripresa, l’attuazione degli investimenti e delle riforme del Pnrr e della programmazione europea tra i protagonisti delle istituzioni, del settore pubblico e privato.

Negli ultimi 10 anni il numero di laureati nella PA è cresciuto del +23,1%. Nel 2020 sono quasi 1,4 milioni, il 42,6% del totale dei dipendenti pubblici. Ma le lauree sono principalmente di tipo economico-giudiziario: il 13% degli occupati PA ha una laurea in giurisprudenza/scienze giuridiche/diritto/consulenza del lavoro o economia, solo il 5,6% in materie Stem. Inoltre, emerge una forte esigenza di formazione continua: nel 2020 per formare ed aggiornare la PA abbiamo speso appena 40,3 euro per dipendente pubblico, un totale di 130,7 milioni di euro. Si attende un importante cambio di marcia con gli investimenti nella formazione grazie alle risorse Pnrr, del nuovo Pon Capacità per la Coesione 2021-2027 e del fondo per la formazione previsto nella Legge di Bilancio.

“Di fronte alla sfida che ha di fronte, di gestire una mole di risorse senza precedenti, serve costruire con urgenza una PA capace di lavorare per progetti, che passi dalla cultura dell’adempimento a quella del risultato – commenta Gianni Dominici, Direttore generale di FPA – La PA deve diventare più attrattiva per i giovani competenti, rafforzare identità, motivazione e appartenenza dei suoi dipendenti e condividere un progetto comune con le nuove generazioni. Si deve costruire un’organizzazione agile basata su obiettivi e risultati, premiare il merito, riconoscere le elevate professionalità e sostenere la formazione”.

L’impatto del Pnrr sulla PA

Tra Pnrr e fondi della politica di coesione, da fine 2021 al 2029 all’Italia arriveranno 484 miliardi di euro di spese straordinarie ed aggiuntive da programmare, gestire, monitorare e rendicontare, in media 54 miliardi l’anno. Una quantità di risorse senza precedenti che dovrà essere coordinata da una Pubblica Amministrazione non in ottima salute. I dipendenti pubblici italiani in Italia sono fermi a 3,2 milioni (a fronte di oltre 3 milioni di pensionati), il 14,5% del totale degli occupati, lontani dai 5,7 milioni della Francia, i 5,3 milioni del Regno Unito e i 5 milioni della Germania. Hanno un’età media di quasi 50 anni, fanno poca formazione (spendiamo appena 40 euro l’anno a persona per l’aggiornamento) e, nonostante una buona quota di laureati (il 42,6%), hanno principalmente competenze giuridiche, adatte a gestire procedimenti più che progetti, spesso disallineate dalle reali esigenze.

“L’importante mole di risorse finanziarie del Pnrr e degli altri fondi europei in arrivo rappresenta un’opportunità irripetibile per accelerare il processo di trasformazione digitale del nostro Paese in un’ottica di maggiore sostenibilità – afferma Andrea Rangone, Presidente di Digital360 – Alla Pubblica Amministrazione, in partnership con le imprese private, spetta il ruolo di guidare un percorso che può finalmente permettere all’Italia di recuperare il ritardo digitale e costruire un futuro più competitivo. Ma è fondamentale costruire un’adeguata macchina amministrativa, dotata di competenze digitali e capacità d’innovazione. Per vincere la sfida della ripartenza, nella PA come nelle imprese, saranno le persone a fare la differenza”.

La grande speranza è rivolta ai concorsi pubblici con le nuove regole che puntano ad introdurre in breve tempo nuovo personale giovane e qualificato, i cui effetti, dopo i primi mesi di applicazione sono ancora incerti: su 55 grandi concorsi indetti tra il 2019 e il 2021, 30 si sono conclusi e 25 sono ancora in corso, ma dei 103 mila posti messi a bando appena 14,5 mila sono stati assegnati e oltre 88 mila (in gran parte nella scuola) sono ancora vacanti. Per raggiungere l’obiettivo di “4 milioni di dipendenti pubblici con un’età media di 44 anni e competenze adeguate” fissato entro il 2028 dal Ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, considerando anche i previsti 500mila pensionamenti, entro 6 anni bisognerebbe assumere quasi 1,3 milioni di persone – circa 200 mila ogni anno – con un’età media di 28 anni, avviando un grande piano di formazione impostato su un’analisi delle necessarie competenze.

C’è però una campagna di reclutamento che ha raccolto grandi adesioni e sta rispettando la tabella di marcia, portando nel settore pubblico giovani qualificati. È quella per i professionisti del Pnrr, per cui nel solo 2021 sono state ricevute 160 mila e sono già oltre 15 mila le assunzioni a tempo determinato realizzate (sommando procedimenti candidature realizzati, conclusi e in corso d’opera). Una quota superiore al 50% del totale previsto, che indica il rispetto del timing fissato entro il 2023.

“La domanda di lavoro sta rapidamente cambiando – dice Carlo Mochi Sismondi, presidente di FPA – si appanna l’attrattività del posto fisso e cresce il bisogno di un lavoro motivante, in cui si possa continuamente crescere. La PA, per essere all’altezza dei compiti che ha davanti, deve velocemente cambiare il suo modo di essere datore di lavoro: vanno migliorate le procedure di selezione, spesso ancora nozionistiche; va potenziata l’accoglienza dei neoassunti, anche utilizzando l’esperienza presente nelle organizzazioni; va previsto un percorso di carriera basto sul merito e una formazione continua. Le persone sono il principale asset delle amministrazioni, è ora che agiscano in conseguenza e mettano in evidenza il grande valore del lavorare per il bene comune”.

Gli altri dati nel dettaglio

  • Il personale stabile. Nonostante le attese, dopo la crescita del 2019 e il nuovo calo del 2020, il 2021 non è stato l’anno del grande aumento dei dipendenti pubblici. Le stime della Ragioneria dello Stato segnalano una debole crescita per il personale stabile della PA (+0,2%), che al 31 dicembre 2021 risulta composto da 3.249.337 persone. Lo sblocco del turnover è partito dal 2019 ma il rallentamento delle procedure concorsuali dovuto alla pandemia e l’accelerazione dei pensionamenti non hanno ancora permesso un ribilanciamento di entrate e uscite. E l’andamento dell’occupazione si riflette sui dati di spesa dello Stato: la spesa per le remunerazioni dei dipendenti pubblici nel 2021 è stata di 176,3 miliardi, +1,6% rispetto al 2020, con un risparmio di 3,1 miliardi rispetto alle previsioni.
  • I grandi concorsi. A oltre un anno dalle nuove regole e a meno di due mesi dall’uscita del decreto Pnrr 2, il quadro dei concorsi pubblici risulta piuttosto eterogeneo. Dal monitoraggio realizzato da FPA su 55 delle procedure concorsuali più significative indette tra il 2019 e il 2021, emerge che 30 di queste si sono concluse e dei 103 mila posti complessivi messi a concorso appena 14,5 mila sono stati assegnati. Tra le 25 procedure in corso, infatti, ci sono grandi concorsi della scuola che fanno salire a oltre 88 mila i posti ancora vacanti. I tempi delle procedure concluse danno speranza su un’accelerazione in atto: mediamente, i giorni medi (dalla pubblicazione degli avvisi agli esiti) sono scesi da 674 per i concorsi banditi nel 2019, ai 423 per quelli del 2020, ai 141 per quelli del 2021. Ma l’ottimismo scende a guardare i tempi lunghi delle procedure ancora aperte: sono trascorsi in media 1.021 giorni dalla pubblicazione delle 4 procedure 2019 ancora in corso, 713 per le 6 del 2020 e 248 per i 15 concorsi banditi nel 2021.
  • Le assunzioni per il Pnrr. C’è una campagna di reclutamento che sta marciando secondo i tempi previsti: quella dei professionisti del PNRR, che ha già generato oltre 15mila assunzioni, più della metà delle oltre 29 mila assunzioni programmate entro il 2023, affinché la durata degli incarichi – quasi esclusivamente triennali – rientri nel periodo di programmazione, con il 2026 come data massima per completare i progetti. Le procedure selettive concluse hanno portato nella PA 1.032 incarichi di collaborazione per 36 mesi, 14.103 contratti a tempo determinato, a cui si aggiungono 50 a tempo indeterminato. Nel solo 2021, sono state 160 mila le candidature ricevute ai bandi di concorso indetti per il Pnrr, con un 6% di assunzioni rispetto alla platea dei partecipanti. Il 75% del personale assunto o in corso di assunzione è laureato.
  • I contratti flessibili. Sono circa 416 mila le persone inserite nella PA con contratti di lavoro flessibile (quindi, nella PA ci sono 14 dipendenti con contratti a termine ogni 100 stabili), di cui il 70% è assorbito dal comparto Istruzione e ricerca, settore con 292 mila precari. Ma dal 2022, con l’ingresso di oltre 45mila profili tempo determinato per il Pnrr già nel triennio iniziale, l’incidenza del personale a tempo determinato delle Amministrazioni Pubbliche è destinata ad aumentare.
  • Pensionamenti. Al 1° gennaio 2022, sono 3.082.954 le pensioni da lavoro pubblico, in aumento dell’1,8% rispetto all’anno precedente, con una spesa da 79.203 milioni di euro. Secondo i dati Inps i dipendenti pubblici andati in pensione nel 2021 sono 146.110, con un’età media di 65,6 anni. Per effetto del mancato turnover, a fine 2022 avremo circa 94,4 pensioni erogate ogni 100 contribuenti attivi (erano 73 nel 2002). Nell’ultimo anno si è assistito ad una crescita percentuale dei pensionamenti per anzianità (il 59% del totale) rispetto a quelli per vecchiaia (il 17,8%), effetto anche di “Quota 100” (entrato in vigore nel 2019 e concluso a dicembre 2021), di cui hanno beneficato nel triennio 166 mila impiegati pubblici. A partire dal 1° gennaio 2022, per 12 mesi è attiva la cosiddetta “Quota 102” e 169 mila lavoratori pubblici che nel 2022 avranno maturato 38 anni di anzianità, 430 mila avranno età compresa tra i 62 e i 66 anni, per cui è presumibile un’ulteriore accelerazione di uscite.
  • Una PA più giovane. Con lo sblocco del turnover e la spinta al pensionamento anticipato di Quota 100, è scesa l’età media della PA. Nel 2020 gli impiegati pubblici hanno in media 49,9 anni, con ampie differenze tra i comparti, dai 55 anni di media al Cnel, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, all’Unioncamere e nella Carriera penitenziaria, ai quasi 40 anni delle Forze armate. Gli over 60 rappresentano il 16,2%, mentre gli under 30 appena il 4,7%. Per portare l’età media a 43,9 anni nel 2028, e raggiungere 4 milioni di dipendenti, servirebbe assumere 1,3 milioni di persone con età media 28 anni, molto bassa considerando che oggi l’età media di ingresso è intorno ai 32 anni.

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