Il Piano nazionale di ripresa e resilienza è un driver cruciale per innovare il sistema Paese, partendo dalla pubblica amministrazione. Ma senza una strategia in grado di attrarre e trattenere i talenti “digitali” si rischia non mettere a valore tutte le opportunità. Ne parliamo con Gianluca Ortolani, presidente di Italit, la rete di imprese italiane e certificate, attive negli ambiti Cloud, Cyber Security, Infrastrutture, Sviluppo Software.
Ortolani, il Pnrr rappresenta un chance importante per innovare il sistema paese: la missione 1 destina 50 miliardi, di cui circa 10 per la PA. A suo avviso su quali ambiti è prioritario intervenire?
Partiamo da una considerazione: è innegabile che la pubblica amministrazione italiana abbia fatto fatto passi da gigante in tema di trasformazione digitale negli ultimi anni. Spid, ad esempio, ha aperto una nuova era per l’erogazione di servizi sempre più efficienti e in tempo reale che consentono al cittadino un accesso diretto alla pubblica amministrazione: meno spostamenti inutili, molto tempo risparmiato, una nuova potenzialità di riqualificazione dei ruoli e mansioni del pubblico impiego e maggiore trasparenza in senso generale. Al contempo l’aumento della digitalizzazione ha reso evidente la necessità di incrementare gli sforzi sul versante della sicurezza.
E allora?
Credo sia indispensabile continuare con il processo di trasformazione e l’incremento dei servizi offerti, tanto quelli per i cittadini quanto quelli di interoperabilità tra le varie pubbliche amministrazioni centrali e locali. Così come credo necessario mettere al centro le tematiche di Cyber Security assieme a un tema più generale di formazione e accompagnamento alla innovazione. Ecco su queste tre direttrici, a mio avviso, ci si dovrebbe muovere per sfruttare al meglio la chance offerta dal Pnrr.
L’Italia è un Paese in cui il tessuto produttivo è in larga parte costituito da piccole e medie imprese. Quale può essere il contributo dato dalle Pmi per quanto riguarda la realizzazione degli obiettivi del Pnrr?
Le piccole e medie imprese sono il vero cuore pulsante del paese. La capacità di innovare, di mettere a terra i nuovi progetti, di muoversi attraverso le nuove tecnologie con rapidità e secondo una catena decisionale corta, sono centrali in un mondo del digitale che cambia quotidianamente e che obbliga il mercato a continui aggiustamenti. Ecco perché serve valorizzare al massimo queste capacità e competenze in un momento così delicato di transizione, non solo digitale, ma anche culturale e di visione sistemica. Il tema del procurement è centrale per qualsiasi processo di innovazione.
A suo avviso le Pmi hanno un adeguato accesso alle gare che le possa far competere in un mercato “equo” anche con i big player?
La pubblica amministrazione ha capito l’importanza e fatto molto per dare spazio alle piccole e medie imprese, specialmente quelle innovative, anche nelle grandi gare. Questo cambiamento ha certamente contribuito ad accelerare il processo di crescita di tutto un comparto che, fino a pochi anni fa, poteva ambire solamente a posizionamenti da sub-contractor mentre oggi può giocare in ruolo da protagonista.
Il procurement nella PA è legato a doppio filo ai bandi Consip. Qual è il valore aggiunto e, invece, le eventuali criticità?
Consip ha il grande merito di essere riuscita a uniformare un mercato complesso come quello della Ict e della Consulenza, fornendo al comparto della PA un accesso semplificato e facilmente fruibile, soprattutto a quei piccoli enti privi di strutture dedicate. Inoltre ha garantito, lato mercato, una standardizzazione delle necessità sulle quale ciascuna azienda ha potuto rivolgere i propri investimenti strutturando al meglio le proprie linee d’offerta. È però da evidenziare che la difficoltà di dare un valore a servizi ad alto contenuto tecnologico si scontra a volte con la tentazione del mercato di aggiudicarsi bandi facendo ricorso a strategie di prezzo a volte poco compatibile con l’alta professionalità delle risorse richieste.
Questo che effetti produce?
La difficoltà a remunerare i lavoratori in maniera adeguata alle loro skill e capacità. Con la conseguenza che sempre più spesso decidono di cedere a proposte, spesso di società estere, che possono offrire livelli contrattuali decisamente fuori mercato per quello italiano. I danni sono sempre maggiori, a volte irreparabili non solo per le aziende che perdono skill e capacità costruite nel tempo, ma per tutto il sistema Paese che farà sempre più fatica a ricostituirle ed innovare.
Che ruolo può svolgere una rete come Italit nel processo di trasformazione del Paese?
Italit nasce con il preciso intento di mettere assieme in modo stabile le eccellenze nazionali. Ci siamo scelti per le caratteristiche indicate precedentemente. Abbiamo costituito una filiera d’offerta ict completa con capacità tecniche e organizzative negli ambiti Cloud – Cyber Security – Infrastrutture e Sviluppo Software. Siamo una realtà 100% italianoa con copertura ramificata su tutto il territorio. Abbiamo optato per una “rete a soggetto”, credo unici in Italia ovvero un soggetto giuridico nato per durare ed evolversi con le necessità di trasformazione digitale del sistema Paese. Siamo una realtà dinamica fatta di aziende che sanno stare sul mercato singolarmente, ma che assieme possono fare la differenza.