Meta pubblica il suo primo rapporto sui diritti umani. La società di Mark Zuckerberg, accusata da Amnesty Internationl e Human Rights Watch, di rappresentare un possibile pericolo per gli utenti e per la democrazia, indica nel report le misure assunte nel 2020 e nel 2021 su Facebook e su Instagram per garantire tutele e diritti.
“Il rapporto spiega come il nostro regolamento sui dati, la nostra squadra incaricata di rispondere alle forze dell’ordine e le nostre valutazioni contribuiscano a proteggere le persone dalla sorveglianza illegale o eccessiva da parte dei governi”, si legge nel documento.
Il rapporto evidenzia l’importante ruolo che la crittografia end-to-end gioca su WhatsApp nella protezione della privacy delle persone, in particolare giornalisti e difensori dei diritti umani, e come Meta la stia espandendo anche alle altre app di messagistica.
“Mostriamo come gestiamo i rischi legati alla tratta e allo sfruttamento di esseri umani attraverso funzionalità interne al prodotto che aumentano la consapevolezza, scoraggiano i comportamenti di violazione e offrono supporto alle vittime – si spiega – In evidenza anche gli Standard della community e le Linee guida per monitorare e combattere l’incitamento all’odio, le politiche pubblicitarie di non discriminazione”.
Meta sottolinea dunque il lavoro dei team dedicati ai diritti civili e ai diritti umani per contribuire a garantire l’innovazione responsabile e l’accessibilità.
Infine, il rapporto dedica una parte alle strategie per aumentare la sicurezza degli adolescenti su Instagram, le azioni per combattere lo sfruttamento minorile su WhatsApp, Facebook e Instagram e anche gli investimenti significativi in team e tecnologie per proteggere meglio elezioni libere ed eque.
Le strategie per il futuro riguarderanno soprattutto il metaverso e come renderlo il più inclusivo possibile.
Il caso dell’aborto negli Usa
Meta è stata interpellata negli Stati Uniti da politici, associazioni e giornalisti in merito alla protezione dei dati delle donne che intendono abortire in forza di un diritto costituzionale abolito dalla Corte Suprema a giugno. Il timore è che i social network siano costretti dalle autorità a consegnare alle autorità le informazioni personali che, ad esempio, abbiano contatto servizi di aiuto all’interruzione volontaria di gravidanza in Stati dove nel frattempo il diritto all’aborto è stato abolito o ristretto. “Conformemente alla nostra politica in materia di diritti umani”, ha spiegato Miranda Sissons, direttrice dei diritti umani di Meta, “abbiamo preso l’impegno di interpretare le richieste dei governi in modo il più ristretto possibile”. E “in caso di una differenza tra le norme locali e quelle internazionali, cerchiamo di rispettare le norme internazionali il più possibile”, ha dichiarato la rappresentante dell’azienda senza fornire dettagli in merito alla preoccupazione delle donne statunitensi intenzionate ad abortire.