Viviamo in un mondo in cui le sfide più attuali sono sanità, ambiente, economia sostenibile e tali sfide sono incastonate nella vita delle città, delle Smart City. Oggi metà della popolazione vive nelle aree urbane e ci si aspetta che tali dati aumentino fino al 70% nel 2050.
Una dimensione essenziale della vita urbana è la condizione nelle donne nelle città, ma si tratta di una condizione purtroppo segnata dall’esclusione storica. Abbiamo iniziato in poche, tecnologhe o esperte di tecnologie per la Pubblica amministrazione. Abbiamo iniziato per confrontarci e per capire come progettare una Smart City senza dimenticare niente e nessuno: una smart city inclusiva.
Ma inclusiva in che senso? Di inclusione digitale si parla da tempo e non si dimentica (quasi mai) di parlare di tutti i tipi di esclusione: sociale, economica, culturale, di età, di genere.
Ma appunto se ne parla e si danno per scontate alcune cose che scontate non sono. Parliamo ad esempio di Open Data: piacciono a tutti, destra e sinistra, imprese grandi e piccole, pubbliche amministrazioni locali e centrali, associazioni e singoli cittadini. Ma il fatto che piacciano a tutti non basta.
Gli Open Data sono una fantastica opportunità di trasparenza per la Pubblica amministrazione, di business per le imprese e di conoscenza per i cittadini. Tutti ci auguriamo che presto chiunque detenga dati pubblici li renda davvero tali: aperti, fruibili, riutilizzabili, ma i dati aggregati senza distinzione di genere rischiano spesso di diventare inutili.
Un esempio? Sapere che il numero degli occupati in Italia è una certa percentuale ha un senso, ma sapere quale percentuale degli occupati è donna, offre, ovviamente, ulteriori informazioni che possono essere utili per definire le politiche di riferimento.
Quindi Open Data, sì, ma i dati devono essere raccolti e strutturati con specifici indicatori di genere che potranno essere analizzati e interpretati con un’attenzione specifica a queste dimensioni. Ciò faciliterebbe la messa a punto di servizi e applicazioni rivolte in particolare alle donne e, in un’ottica di Open Bilanci, garantirebbe una più facile adozione dello strumento del Bilancio di Genere da parte delle pubbliche amministrazioni.
Abbiamo iniziato in poche, pochi mesi fa e ci siamo trovate alla Smart City Exhibition il 30 Ottobre scorso in tantissime. Posti in piedi (molte persone sedute per terra), la coda fuori dalla sala. A fare che cosa? A parlare di Smartness di Genere, ebbene sì.
Obiettivo? Definire, insieme, un elenco di punti che la Pubblica amministrazione che si vuole dichiarare “smart” non può ignorare. Che fare dunque? Tre cose, prima di altre. Nel momento in cui si progetta l’apertura dei dataset all’interno di un’amministrazione, predisporre dati e informazioni disaggregati per genere (ed altre differenze).
Poi i dati e informazioni disaggregati e di genere anche all’interno dei sistemi di rilevazione statistica delle pubbliche amministrazioni
Infine bisogna partire da una prospettiva di genere e inclusiva nella programmazione politica, territoriale ed economica degli enti pubblici
La Commissione Europea il 14 novembre scorso ha proposto agli stati membri di definire normative che garantiscano almeno il 40% di presenza per ogni genere nei consigli di amministrazione delle imprese quotate, credo che sarebbe necessario adottare gli stessi criteri che anche nelle città e nelle società partecipate.
Attualmente i consigli sono dominati da un unico genere: l’85% degli amministratori senza incarichi esecutivi e il 91,1% di quelli con incarichi esecutivi sono uomini, mentre alle donne restano, rispettivamente, il 15% e l’8,9%.
E i dati italiani sono anche peggiori: le donne sono il 6,1% dei membri dei consigli di amministrazione contro la media europea del 13,7% e non c’è nessuna donna presidente o ceo nelle società quotate. Le scelte politiche e strategiche delle città devono essere prese insieme a tutti i portatori di interesse e le donne rappresentano più del 50%.