Verrini: “Largo ai talenti”

L’Ad di Adobe Systems Italia: “La meritocrazia andrebbe incentivata. I progetti innovativi innescano un effetto valanga favorendo la messa in moto di tutta la macchina dell’innovazione. Alla politica il compito di cambiare i vecchi meccanismi e sostenere con forza il cammino degli imprenditori”

Pubblicato il 14 Set 2009

Giuseppe Verrini, amministratore delegato di Adobe Systems Italia,
è determinato ad essere uno dei protagonisti di un’impresa tanto
importante quanto titanica: la digitalizzazione della macchina
burocratica che è la pubblica amministrazione italiana. Una
mission da cui dovrebbero discendere, secondo Verrini, oltre che
nuove risorse anche un’Italia più moderna, libera da alcune
pastoie che “ci costano molto come Paese”. Uno dei progetti
pilota, per cui è già arrivata la firma con il ministro per la
Pubblica Amministrazione e l’Innovazione Renato Brunetta,
riguarda l’Aquila e le zone colpite dal terremoto che ha
squassato l’Abruzzo lo scorso aprile, dove Adobe porterà un
Centro di competenza sulla dematerializzazione, totalmente a suo
carico e senza spese per il ministero.

Cosa vuol dire portare l’e-Gov in giro per l’Italia e
in particolar modo in Abruzzo?

È di sicuro un progetto importante sia per il Paese sia per
l’Aquila: il piano e-Gov del governo porterà risultati a tutti,
ma lì diamo un beneficio particolare, aiutando l’Università a
tenere legato il proprio mondo di studenti che sono a rischio,
visto che non solo non hanno più le aule, ma in qualche caso
neppure le abitazioni. È una tappa importante di un lavoro che
portiamo avanti da anni, che riguarda alcuni temi trasversali su
cui si gioca, e si gioca ora, il futuro dell’Italia: sanità,
giustizia, scuola. Questi sono i tre temi principali, più la
dematerializzazione che è un tema cross che li attraversa tutti.
Ovviamente questo percorso non inizia ora, c’è un passato che
non riguarda solo la digitalizzazione del vecchio, ma anche il
creare soluzioni nuove. Ed è importante che le soluzioni che la PA
adotta siano flessibili e garantiscano maggior trasparenza.

Gli obiettivi di e-Gov 2012 sono ambiziosi. La
digitalizzazione della PA rappresenta davvero un importante volano
per l’IT italiano e più in generale per il Paese?

Senza dubbio, basti pensare che la gestione documentaria in Italia
assorbe l’1 % del Pil e una digitalizzazione del solo 10%
porterebbe circa 3 miliardi di risparmio annuo
nell’amministrazione centrale e un ulteriore miliardo e mezzo in
quella locale. Non so se entro il 2012 arriveremo effettivamente ad
aver digitalizzato tutto, ma fosse anche “solo” il 30%, si
libererebbero molte risorse che potrebbero essere reimpiegate. Per
questo sono importanti progetti come quello dell’Aquila: hanno un
ritorno degli investimenti molto veloce, che consente di
risparmiare, liberare risorse sia economiche sia di personale,
innestando un circolo virtuoso. Anche la Giustizia è un caso
emblematico: siamo fra gli Stati più litigiosi in Europa, con
oltre 5 milioni di transazioni giudiziarie l’anno. Per
intenderci, è come Francia, Germania e Spagna messe assieme. Tutti
conosciamo i tempi della giustizia, i suoi costi sia per la
gestione sia per i cittadini, anche solo in termini di tempi:
digitalizzando, non solo rendiamo tutto più rapido, ma anche più
trasparente. I problemi sorgono altrove:ad esempio, nel cosiddetto
decreto anticrisi l’IT non c’è. Assinform e Assintel hanno
stigmatizzato quest’assenza, che sembra un assurdo, se è vero
che il sistema nervoso delle imprese è quello che dà vantaggi. Il
peso dell’Italia nell’IT mondiale si è dimezzato, e questo
rende più faticoso portare qui degli investimenti dall’estero.
Ci sono nazioni più piccole di noi che investono il doppio o il
triplo. Manca in Italia una vera cultura dell’IT. E anche noi
vendor abbiamo le nostre responsabilità: insomma, c’è ancora
tanto da fare.

Ma oltre a stanziare i fondi in maniera più decisa, cosa
potrebbe fare il Governo per favorire il processo di
svecchiamento?

Ci sono tantissimi campi su cui agire. Sarebbe importante che la
meritocrazia fosse incentivata: se assieme ai progetti chi porta
avanti nuove idee, come fece ad esempio il giudice Pierpaolo
Beluzzi a Cremona, avrà riconoscimenti, ci sarà un effetto
valanga che spingerà anche gli altri a innovare. Ora, sia che uno
faccia sia che uno non faccia, non è né premiato né punito, e
anche quella fetta che vorrebbe fare è ferma, cercando di capire
se esporsi convenga. E poi il Governo potrebbe dare segnali
importanti per aiutare le imprese in ciò di cui mancano davvero:
marketizzazione e sbocchi all’estero. Ecco, la politica potrebbe
aiutare gli imprenditori mostrando loro cosa è stato fatto e cosa
si può fare e soprattutto mettendoci la volontà di cambiare certi
meccanismi. Perché Internet è fondamentale, soprattutto in un
Paese come il nostro, fatto di 5 milioni di piccole aziende che
hanno idee geniali e che dovrebbero portarle in giro per il
mondo.

Rimane però il problema di un’Italia che è ancora
“analfabeta”, informaticamente parlando, con un digital divide
importante e una penetrazione dei personal computer non
all’altezza di altri Stati. Come si concilia questo con il
portare tutto, PA compresa, sul web?

È di sicuro un tema rilevante: credo che un modello vincente
potrebbe essere quello usato dalle Poste, dove si gioca su tre
livelli. Rimane l’impiegato allo sportello, dove però tutto deve
comunque essere informatizzato, c’è la presenza di postazioni
dedicate negli uffici postali, che in Italia sono diffusissimi e
che spesso nei Paesi più piccoli sono punti di aggregamento, e
ovviamente da casa, sul proprio personal computer. Questo modello
mi sembra il migliore, perché consente a tutti di avere accesso in
maniera più semplice e più rapida alle informazioni e alle
operazioni che si desidera fare.

Qual è quindi la ricetta per digitalizzare il
Paese?

Da un lato, continuare a lavorare con la Pubblica amministrazione,
portando progetti, best practice che siano facilmente realizzabili
e che spingano gli Enti interessati a metterli in atto.
Dall’altro, seguire un approccio simile anche coi privati,
mostrando loro qualcosa che possono ottenere nell’immediato e
introducendo poi nuove operazioni. Ad esempio, Coin è partita
perché voleva fare le riunioni senza dover più spostare i
collaboratori in Italia e all’estero, quindi con un’ottica di
risparmio sui costi. Poi, quando hanno realizzato che lo strumento
che avevano poteva essere utilizzato per fare altre cose, le hanno
implementate: si sono inventati dei training, e invece di mandare
gli informatori nei vari punti vendita a spiegare i nuovi prodotti,
hanno preparato assieme a loro dei training interattivi. Questo ha
innescato una spirale virtuosa, perché così i fornitori sono
stati spinti a realizzare più attività di training e questo ha
consentito a chi operava a contatto coi clienti di essere sempre
aggiornato. Spesso è solo una questione di informazioni e cultura:
dovremmo smettere di parlare di tecnologia ma semplicemente
spiegare alle aziende cosa possono fare.

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