Il presidente esecutivo di Google, Eric Schmidt, è oggi in Corea del Nord. È il manager statunitense di più alto livello a visitare il Paese comunista dall’ascesa al potere, un anno fa, del nuovo leader Kim Jong Eun, succeduto al defunto padre Kim Yong Il.
L’ex governatore del New Mexico che accompagna Schmidt, Bill Richardson, l’ha definita una “missione umanitaria privata”, ma la visita assume particolare significato perché, come ha commentato Victor Cha, consigliere politico del “Center for Strategic and International Studies”, “il volto di quello che è probabilmente il più importante vettore dell’informazione senza confini al mondo sta andando nello Stato emblema dell’ipercontrollo dell’informazione”.
Richardson, che da 20 anni fa avanti e indietro tra Usa e Corea del Nord, ha spiegato che Schmidt “è interessato ad alcuni degli aspetti economici del Paese e a quelli relativi ai social media”, senza però scendere nei dettagli.
Nel corso della visita il piccolo gruppo guidato dal presidente esecutivo di Google incontrerà i vertici politici ed economici e visiterà alcune università. È probabile che il colosso informatico faccia una donazione al governo di Pyongyang.
Negli ultimi anni la Corea del Nord, Paese poverissimo e dipendente dagli aiuti internazionali, ha cominciato a puntare sulla modernizzazione e digitalizzazione delle sue industrie. Anche l’uso di computer e cellulari sta aumentando. Ma, su una popolazione di 25 milioni di persone, solo 4.000 hanno accesso a Internet (in pratica i membri della classe dirigente). La maggior parte dei nordcoreani usa un sistema di Intranet, ma non ha accesso al World Wide Web e, in ogni caso, la rete è sottoposta a controlli e censure.
Come rilevano alcuni osservatori, se per il momento è difficile ricavare soldi dai quasi inesistenti navigatori di Internet nel Paese asiatico, con questa mossa Schmidt si candida ad ambasciatore di Google nel mondo.
La visita è stata contestata dai vertici Usa, in contrasto con la Corea del Nord dopo il recente lancio di un satellite nello spazio, considerato da Washington un test di tecnologia missilistica.
Tuttavia Google sembra non curarsi affatto delle critiche in casa, forte anche della recente vittoria riportata nel corpo a corpo con la Federal Trade Commission (Ftc), l’organismo statunitense garante della concorrenza e del mercato.
Lo scorso 3 gennaio la Ftc ha chiuso l’indagine su BigG liberandola dalle accuse di pratiche anti-concorrenziali, come il tentativo di favorire nei risultati di ricerca i link relativi ai propri prodotti piuttosto che quelli dei competitor.
Il presidente della Ftc, Jon Leibowitz, non solo non ha previsto alcuna multa per Mountain View ma l’ha anche definita “una delle più grandi aziende americane”.
Il caso era scoppiato a giugno del 2011, con le accuse mosse contro Google da alcune aziende come Yelp, Microsoft ed Expedia. Giovedì la Ftc ha stabilito che alcuni dei sistemi di ricerca usati da Google sarebbero gli stessi di quelli utilizzati dai suoi concorrenti. La sentenza ha quindi ribaltato le accuse, come ha sottolineato David Drummond, vice presidente e chief legal officer di Google: “I nostri servizi sono buoni sia per gli utenti che per la concorrenza”. Google ha scelto comunque di attuare alcune volontarie modifiche relative ai risultati di ricerca e alle campagne pubblicitarie.
Il verdetto dell’Ftc ha scatenato reazioni e critiche di molti addetti ai lavori, in primis Microsoft. Venerdì scorso il gigante dell’informatica ha attaccato i metodi “preoccupanti” della Federal Trade Commission, definendo la sua risoluzione “debolmente e francamente insolita”.