L’arrembaggio planetario del continente asiatico corre anche sul filo delle tecnologie emergenti. Un esempio illuminante: le imprese dell’estremo oriente investono ogni anno in servizi di cloud e mobile computing molto di più delle proprie controparti europee. A dirlo, e documentarlo con dovizia di dati, è un rapporto siglato dall’Insead su commissione del gigante delle telecom americano AT&T.
Presentata nella giornata di ieri, la ricerca segnala che la porzione del proprio bilancio IT che le aziende asiatiche devolvono al mobile passerà dal 12% del 2010 a un 30% tondo nel 2015; stessa musica in ambito cloud, con un balzo dal 17 al 31% (dal 18 al 26% per gli “strumenti di collaborazione online”). Ben diversa, e decisamente più ridotta, è invece la proiezione per l’Europa. Nel Vecchio Continente gli investimenti in nuove tecnologie, nei cinque anni presi in esame, segnano una progressione dal 12 al 20% per il mobile e dal 12 al 23% per i servizi cloud.
E l’impatto di questo crescente dislivello tra i due continenti potrebbe rivelarsi più imponente del previsto, sembrano suggerire i ricercatori dell’Insead. Perché – è una delle principali conclusioni del rapporto – l’aumento della spesa nelle citate tecnologie può addirittura raddoppiare il grado di competitività di un’azienda. Neelie Kroes ne è del resto persuasa da molto tempo. “Dobbiamo cogliere in pieno quanto le tecnologie emergenti contano sulle performance” delle imprese, ha non a caso ribadito commentando i risultati del rapporto.
“Al momento – ha proseguito il commissario europeo all’Agenda Digitale – è più importante che mai ottenere il massimo dagli investimenti, siano essi pubblici o privati”. Di qui un mantra di recente scandito con una certa insistenza: “dobbiamo non solo prendere decisioni diligenti sulle nuove tecnologie, ma anche costruire un ambiente dove gli investimenti abbiano le migliori probabilità di successo”. Traduzione: serve un quadro regolamentare più “business-friendly” e, soprattutto, coerente. E si dovrebbe cominciare proprio dal cloud.
“Un unico insieme di regole per il cloud computing – è l’opinione del deputato Pdl Mario Valducci, presidente della commissione parlamentare Trasporti Poste e Telecomunicazioni – contribuirebbe enormemente al successo delle aziende in tutta l’Ue”. La Commissione europea ci sta infatti lavorando alacremente a partire da un’ambiziosa strategia presentata in settembre.
Altra personalità di punta intervenuta ieri sul rapporto è l’eurodeputato Amalia Sartori. Dalla regolamentazione sul roaming a quella sulla firma digitale, passando per la cybersecurity, “il nostro intento è quello di offrire a tutti servizi di comunicazione di alta qualità, sia fissi che mobili”, promette il presidente della commissione Itre del Parlamento europeo.
Se il contributo del legislatore europeo è cruciale, vi sono altri e importanti fattori “endogeni” da prendere in considerazione. Secondo quanto mette in luce la ricerca, il rapporto tra la spesa in tecnologie emergenti e il grado di competitività di un’azienda dipende anche dalla cosiddetta “maturità digitale” di quest’ultima. E’ proprio da qui che potrebbe partire la “rimonta” delle imprese europee. Forti di un’esperienza più consolidata in ambito digitale, conclude il rapporto, le compagnie del Vecchio continente possono trarre maggior partito dai nuovi investimenti rispetto alle proprie omologhe asiatiche. Lo spiega in maniera sufficientemente cristallina Andrew Edison, vice-presidente per l’Europe, il Medio Oriente e l’Africa di AT&T: “la semplice adozione delle nuove tecnologie non è la risposta e può anzi portare a grandi rischi. Esse devono basarsi su piattaforme mature e standardizzate”.