Come per ogni campagna elettorale torna la Par Condicio, con ben due regolamenti: uno per la televisione pubblica (della Commissione parlamentare di vigilanza) e uno per la privata e l’editoria (di Agcom). In tempi di spending review, se ne potrebbe fare uno solo.
La par condicio discende in linea diretta dal sistema maggioritario, dalla Seconda repubblica, e dall’affermazione della televisione privata a livello nazionale. Prima nessuno ci aveva pensato: bastava la Commissione di Vigilanza e la Rai. La politica non capiva molto di comunicazione politica moderna, ma la discesa in campo del 1994 costituì un corso accelerato. L’espressione entra nel linguaggio politico per bocca del presidente Scalfaro, il 24 settembre 1994, in un discorso ad Ancona, e sarà ripetuta nel discorso, allora contestato, di fine anno. Poi sette decreti-legge Gambino nel governo Dini, 1995-96, mai convertiti per l’opposizione fierissima del centro-destra.
Prodi vince le elezioni e fa il beau geste di non reiterare tali decreti nè di proporre un disegno di legge. Lo farà il governo Amato, cessate ormai le lune di miele bicamerali, con la legge criticatissima (dalle opposizioni) n. 28 del 22 febbraio 2000. Berlusconi poi vincerà lo stesso con una campagna elettorale a base di cartelloni pubblicitari 6 x 6. Incredibile a dirsi, la legge 28 del 2000 è ancora sostanzialmente in vigore. Perché? perché è stata fatta dopo l’istituzione di Agcom e quindi reca una distinzione relativamente chiara fra normazione e regolazione. I citati regolamenti, rinnovati ad ogni elezione, forniscono la “sintonia fine” della norma – anche su aspetti rilevanti, come recentemente per la “norma Monti per i “non candidati”, e dunque le hanno assicurato la longevità. La destra non la critica più attivamente, ma solo qualche volta, per onor di bandiera.
Longevità però vuol dire anche vecchiaia. E acciacchi. Se la seconda repubblica ci ha lasciati, questa norma va bene per la terza repubblica? E’ dubbio. Non solo fa fatica a rappresentare una politica non più bipolare, ma è tutta analogica. È nata prima di internet e della tv digitale per cui posso vedere sulla smart tv un filmato messo online a Hong Kong con la stessa facilità con cui vedo il Tg 1 delle 20. Chi va a dire a quelli di Hong Kong ciò che devono e non devono fare? E chi misura i tempi di antenna e di parola? Forse sarebbe meglio smontare tutto questo meccanismo di controlli col bilancino e puntare serenamente sull’autogoverno e l’autoregolamentazione, come avviene con la pubblicità. In fondo, non è pubblicità anche la comunicazione politica?