In dicembre, dopo un lungo e accidentato iter parlamentare, sono state approvate alcune delle misure originariamente concepite per il decreto Digitalia: l’attesa Agenda Digitale Italiana. Seppur depotenziate rispetto all’impianto originario (e orfane del previsto fondo per le Smart City), le “Misure urgenti per l’innovazione e la crescita” costruiscono l’ossatura di una concreta strategia di e-government: documento digitale, anagrafe unificata, fascicolo dello studente e cartella sanitaria elettronica – fondamento per un’identità digitale – e poi Open Data, acquisti telematici, pagamenti elettronici e comunicazioni digitali nei tribunali, modelli editoriali misti per i libri di scuola, oltre a misure per colmare il digital divide che ancora affligge il nostro paese (“Mi sorprende constatare che circa il 40% degli italiani non ha mai usato Internet” – ha scritto Neelie Kroes, responsabile per l’Agenda Digitale Europea).
La parte più rilevante del decreto, però, riguarda le imprese private, con la definizione e l’incentivo delle cosiddette start-up innovative, supportate attraverso un fondo di investimento da 200 milioni di euro e agevolazioni fiscali sotto forma di credito di imposta. Il provvedimento stabilisce i requisiti per rientrare nella definizione, operando una perimetrazione importante per omogeneizzare i futuri interventi in materia, definendone con precisione i beneficiari. Si impone a questo punto una riflessione sul ruolo dei territori nel nascente ecosistema delle start-up: all’introduzione di una cultura dell’innovazione “forte”, deve seguire il rinnovamento delle modalità attraverso cui gli enti locali la supportano. Piuttosto che forzare i limiti imposti dal Patto di Stabilità e dalla crisi finanziaria per rinforzare il fondo previsto dal decreto, con il rischio di “drogare” il settore, le istituzioni locali devono puntare su strategie di sistema che mettano in grado le start-up di proliferare e crescere autonomamente.
Un ambiente propizio deve disporre di infrastrutture e luoghi adeguati, di facility in grado di permettere l’attività di R&D (laboratori, magazzini), e deve facilitare lo scambio e la comunicazione; tra startupper, ma anche coinvolgendo il lato della domanda – siano essi investitori o utenti potenziali. L’innovazione dal lato della domanda è da anni una delle vie indicate dall’Unione Europea per favorire attività di R&D più vicine alle esigenze concrete dei cittadini, nella speranza che una maggiore focalizzazione su problematiche reali renda più rapido ed efficace il go-to-market delle idee progettuali messe in campo.
La co-creazione di soluzioni con i destinatari e i partner potenziali può essere in grado di orientare progettisti ed imprenditori verso bisogni irrisolti e nicchie di mercato “scoperte”, generando al contempo il consenso necessario a rendere agevolmente realizzabili le soluzioni individuate. Forme di partnership pubblico/privato possono poi essere in grado di favorire il perfezionamento e la conversione in prototipi, al fine di dimostrare i benefici delle soluzioni introdotte secondo modalità immediatamente comprensibili.
I Living Lab seguono il medesimo principio: le istituzioni si fanno “early adopter”, mettendo a disposizione porzioni di territorio, infrastrutture, dati ed utenti, per sperimentare in contesti reali prototipi di prodotti e servizi sviluppati dalle aziende locali. Ciò permette di tradurre i bisogni delle persone in specifiche progettuali, di catturare trend sociali e pattern di comportamento, di reagire tempestivamente a criticità relative alle tecnologie sviluppate, di costruire una comunità di tester con funzione di opinion leader. La modalità operativa propria dei Living Lab consente inoltre di validare il funzionamento di componenti critiche in settori specifici di attività (e.g. Bio-medicale), in contesti controllati. Sul lato dell’attrazione degli investimenti il beneficio primario è rappresentato dalla possibilità di dimostrare l’esistenza, il funzionamento, la sostenibilità ed il grado di accettazione degli utenti delle innovazioni, consentendo decisioni d’investimento rapide e circostanziate, basate su previsioni attendibili dei costi di sviluppo e dei ritorni potenziali. Il modello è stato adottato: dal 2006, anno di nascita dell’ENoLL (European Network of Living Labs), ne sono sorti 227 sul territorio europeo, di cui ben 23 in Italia.