Ricordati di dimenticare. Sembra questo il nuovo motto imposto alla rete da alcune sorprendenti sentenze di giudici italiani. La questione riguarda il cosiddetto diritto all’oblio cioè la possibilità di cancellare dati o informazioni comparse su internet. La memoria digitale è praticamente infinita per cui una volta che in qualche modo si é in rete questa traccia rimane praticamente per sempre. É giusto avere il diritto i cancellare notizie che ci riguardano? É giusto, come accadeva in passato poter fare una pulizia di se stessi sopprimendo od eliminando ciò che riteniamo scomodo? Il dibattito é forte già da qualche anno ed ha investito anche l’Europa, che studia una possibile direttiva, e le autorità sulla privacy. Sono state invocate norme costituzionali come l’art. 2 che ricomprenderebbe nella sua dinamicità anche il diritto inviolabile ad essere dimenticati o l’art. 27 sulla funzione rieducativa della pena (una volta scontata perché mantenere il ricordo del fatto che l’ha determinata). Poi, per ultimo, alcune sentenze che hanno imposto, in assenza di una precisa previsione di legge, la rimozione da siti, motori di ricerca o giornali on line di notizie riguardanti soggetti fisici o imprese (clamoroso il caso di Ortona dove lo scorso 16 gennaio il Tribunale ha condannato il direttore responsabile di un quotidiano online, Primadanoi.it, a pagare 17mila euro, per aver mantenuto online, troppo a lungo, un articolo veritiero e non diffamatorio relativo a una vicenda penale che aveva visto coinvolto i proprietari di un ristorante della zona). Ma come stanno realmente le cose? C’è in giro molta confusione ed é bene sgombrare il campo da ciò che proprio non va.
1)Tentativi di affermare per legge il diritto all’oblio si sono per lo più manifestati in Italia da parte di chi, soprattutto politici, aveva interesse a nascondere o far dimenticare un passato imbarazzante. Ad esempio, quando si é tentato di inserirlo come obbligo giuridico per il web nell’ultimo provvedimento in tema di diffamazione, per intenderci il salva Sallusti;
2) La corrente di pensiero che spinge per una sua esplicita previsione normativa non fa i conti con la realtà della rete. Dal punto di vista del suo funzionamento ben difficilmente si può ottenere una cancellazione definitiva. Inoltre, la rete si fonda ampiamente sul principio della reputazione e il diritto all’oblio fa a pugni con questo concetto.
3) Si parla tanto di trasparenza, di possibilità di conoscere, come aspetti di un nuovo diritto di cittadinanza. Perché tutto ciò sia possibile é necessario l’accesso ai dati che ci interessano, a tutti i dati che hanno avuto una forma pubblica e dunque non solo a quelli che decide il soggetto a cui si riferiscono.
4) Chi esercita funzioni pubbliche o chi comunque ha responsabilità verso i cittadini, anche nella loro qualità di consumatori, non può pretendere forme di tutela come l’oblio. Parte essenziale della garanzia di un corretto rapporto tra potere/ impresa e cittadino sta nella possibilità da parte di quest’ultimo di conoscere la storia, le vicende di questi soggetti.
5) La libertà di informazione sarebbe pesantemente limitata dalla introduzione di un obbligo a cancellare notizie ritenute scomode. L’idea che il diritto di cronaca scada è pericolosissima e costituisce una delle minacce più forti alla stessa libertà di informazione, non solo online.
Dunque per come si sono messe è urgente una presa di posizione per salvaguardare l’immenso e positivo patrimonio di conoscenze fornito dalla rete. Ciò non significa in assoluto non poter cancellare ciò che ci riguarda dal web.
Intanto ci sono già in giro applicazioni, come snapchat, che consentono di inviare messaggi e foto con dentro un timer di autodistruzione. Dopo un pò tutto svanisce e l’oblio é conquistato con la tecnica. Poi, al netto degli interessi a nascondere, il tema può anche porsi, ma sotto un profilo diverso. In rete, sopratutto nei social network, la cosa importante è l’uso dei nostri dati. Qui effettivamente c’é un grande tema di garanzia. Il web é come un iceberg, con una parte profonda, non apparente, in cui i nostri dati vengono utilizzati, per fini di commercio, politici o per altro. Noi abbiamo il diritto di sapere che fine fa ciò che ci riguarda e abbiamo il diritto di negare l’uso dei nostri dati. Un diritto, al contrario dell’oblio, fondamentale per la nostra libertà.