PUNTI DI VISTA

Brevetto unitario, un danno per le Pmi italiane?

La Ue vira verso il patent unico e punta all’istituzione di una corte centralizzata per dirimere le controversie. Aloisi (Trevisan & Cuonzo Avvocati): “Così le imprese rischiano di diventare una preda facile per i competitor europei”

Pubblicato il 12 Feb 2013

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Da oltre 40 anni, le istituzioni europee lavorano al doppio progetto di creare un brevetto unitario con efficacia estesa all’intero territorio dell’Unione e di istituire una Corte Centralizzata competente a dirimere le controversie brevettuali europee. Negli ultimi mesi, il progetto ha visto una forte accelerata. Quanto al brevetto unitario, il 17 dicembre 2012, è stato approvato il Regolamento (UE) n. 1257/2012 che – salvo intoppi – dovrebbe portare alla concessione del primo brevetto unitario nell’aprile del prossimo anno. Per ora, i brevetti unitari non dovrebbero avere effetti in Italia e Spagna che si sono opposte all’adozione del Regolamento, essenzialmente per l’esclusione di Italiano e Spagnolo dalle lingue di procedura. Gli altri Paesi però hanno deciso di procedere secondo la cosiddetta “procedura di cooperazione rafforzata” e sono giunti comunque all’approvazione del Regolamento sulle cui sorti pende un ricorso presentato da Roma e Madrid alla Corte di Giustizia. Tuttavia, il ricorso sembra avere poche possibilità di successo, soprattutto dopo le conclusioni dell’Avvocato Generale Yves Bot che non lo ritiene fondato. Quanto alla Corte Centralizzata, l’11 gennaio scorso è stato finalizzato il relativo Accordo Internazionale. La parola, adesso, passa agli Stati Contraenti, tra cui l’Italia, che dal prossimo 19 febbraio dovranno decidere se ratificarlo o meno. L’entrata in vigore del nuovo sistema è subordinata alla ratifica dell’Accordo da parte di almeno tredici Stati Contraenti (sempre che tra questi vi siano i primi tre per numero di brevetti europei, vale a dire Germania, Francia e Regno Unito).

Se si dovesse giungere all’istituzione della Corte con ratifica anche da parte dell’Italia, tutte le imprese italiane sarebbero parzialmente soggette alla giurisdizione della Corte, quanto meno con riferimento ai brevetti europei. Secondo quanto abbiamo letto nelle ultime settimane sul tema, brevetto unitario e Corte Centralizzata sarebbero un grandissimo regalo alle imprese italiane in quanto eviterebbero la moltiplicazione dei costi di convalida dei brevetti e ridurrebbero fortemente le spese legali dovute alla necessità di instaurare più controversie sullo stesso brevetto. La stessa Confindustria ha dichiarato di essere favorevole all’introduzione del nuovo sistema. Altrove abbiamo letto che grazie al risparmio di spesa, le imprese italiane libererebbero preziose risorse da destinare all’innovazione, che nel nostro Paese continua ad essere insufficiente. Tuttavia, queste reazioni sembrano testimoniare che non sono stati valutati (forse neanche compresi) i reali effetti che il nuovo sistema potrebbe generare sul nostro apparato produttivo. L’Italia si è opposta all’adozione del regime linguistico adottato per il brevetto unitario (questione del tutto secondaria) ma non ha battuto ciglio rispetto all’istituzione della Corte Centralizzata i cui effetti e conseguenze economiche sul tessuto produttivo potrebbero essere devastanti.

Per fare un esempio – forse il più significativo – un’impresa italiana operante sui mercati europei potrebbe essere convenuta in giudizio dinanzi ad una sezione non italiana della Corte, in ipotesi per i brevetti riguardanti invenzioni elettroniche dinanzi alla sezione di Parigi. Il giudizio non si celebrerebbe in italiano e la sentenza sarebbe redatta nella lingua della procedura. La decisione potrebbe disporre – tra le altre – misure come l’inibitoria della produzione, il sequestro dei mezzi di produzione, il risarcimento del danno. Il giudizio d’appello verrebbe celebrato a Lussemburgo nella lingua del primo grado di giudizio.

Queste sono solo alcune delle caratteristiche del nuovo sistema giurisdizionale ma sono sufficienti a rendere evidente che un sistema del genere non premierebbe affatto le Pmi italiane. Queste costituiscono l’ossatura della nostra economia e storicamente hanno pochissima (se non nessuna) cultura brevettuale. Basti pensare che in base ai dati pubblicati dall’Ufficio Europeo Brevetti, nel 2011, l’Italia ha depositato 4.879 domande di brevetto europeo contro le 6.464 domande britanniche, le 12.107 domande francesi e le 47.404 domande tedesche. Dunque, nel nuovo sistema, le imprese italiane rischierebbero di trasformarsi in una preda facile per i competitor europei dotati di portafogli brevettuali più forti e tradizionalmente più esperti in litigation brevettuale delle imprese nostrane. Per non parlare dei cosiddetti patent trolls statunitensi, giapponesi e coreani (soggetti che vivono di brevetti senza produrre e commercializzare la relativa invenzione) che – soprattutto in campo elettronico – avrebbero uno strumento facile, comodo ed economico per acquisire e mantenere un vantaggio competitivo rispetto alle aziende europee sul loro stesso mercato. Occorre aprire immediatamente un dibattito su questi temi. Finora, ci sono state solo generiche prese di posizione ma il tempo sta per scadere: il 19 febbraio iniziano i procedimenti di ratifica.

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