La scadenza l’aveva fissata Bruxelles. Entro il 2013 tutti i cittadini europei dovranno poter accedere a Internet a banda larga. Abbiamo già ribadito più volte come il traguardo sia in vista anche da noi, per effetto dell’azione sinergica tra gli investimenti dei soggetti privati e le iniziative promosse dagli enti pubblici, con le Regioni in prima linea per conquistare la palma di Regione “100% broadband”. La spallata finale arriva dall’ultima tranche di finanziamenti pubblici (900 milioni) annunciati alla vigilia della tornata elettorale, che fanno riferimento in larga misura a fondi europei, parte dei quali sarà oggetto di nuovi bandi per la banda ultra larga. Morto un problema, se ne aprono almeno due e di entità ben più rilevante. Il primo è relativo all’ingresso nell’era della banda ultra larga, nella quale le diseguaglianze territoriali saranno più ampie rispetto al passato.
L’approvazione del piano nazionale per la banda ultra larga da parte della Commissione Ue consente di dare avvio ai bandi per il Mezzogiorno, ma rimane l’incognita del reale interesse da parte degli operatori per intervenire in aree a “fallimento di mercato” (nonostante un livello di contributo pubblico che può arrivare al 70% degli investimenti). Il secondo rimane il male oscuro dell’Italia: la difficoltà di inclusione digitale da parte di ampie fasce di popolazione, tema che anche il decreto Crescita 2.0 non indirizza in modo soddisfacente. Cosa lasciare in eredità al nuovo Governo del Paese? L’esperienza degli ultimi cinque anni e la consapevolezza della necessità di un metodo che consenta di definire obiettivi realistici costruiti sulla complementarietà tra reti fisse e mobili.