Tra i diversi compiti dell’Agenda Digitale non manca quello di stimolare la riflessione intorno ad alcuni luoghi comuni, che condizionano negativamente anche le decisioni. Rientra in questa categoria la sanità italiana, accusata di assorbire troppe risorse. I dati, però, smentiscono questa convinzione, spesso radicata a più livelli. Nel 2010 la nostra spesa sanitaria, a parità di potere d’acquisto, non raggiungeva i 3 mila dollari pro-capite, al di sotto di quella inglese (3433), francese (3974) e tedesca (4338). Il problema vero riguarda invece il modello di gestione, fonte di innumerevoli sprechi, che mettono sotto accusa non tanto “il quanto” ma “il come” si spendono i denari pubblici. Quattro aspetti condizionano lo sviluppo di un sistema equilibrato e qualitativo.
Autonomie regionali: la riforma del titolo V della Costituzione, attribuendo ampie autonomie alle regioni, ha allargato la forbice delle prestazioni. Sui pochi centri di eccellenza esistenti si concentra una domanda eccessiva, che fa lievitare i costi e la necessità di strutture più capienti. La mancanza di una regia centrale nei controlli e negli investimenti ha stimolato gap che richiederanno anni per essere coperti.
Trasparenza e strumenti di eProcurement: sono elementi legati a filo doppio. Ne ha parlato molto la stampa, anche esagerando, ma realmente non è giustificabile l’esistenza di prezzi così diversi nei territori per articoli sanitari identici. Come per il mondo pubblico in genere, anche la sanità deve utilizzare in modo diffuso gli strumenti di eProcurement, per migliorare le condizioni di acquisto e combattere la corruzione.
Governance: spesso la responsabilità dell’innovazione tecnologica è frammentata. L’adozione delle soluzioni avviene a livello di singola azienda o di singoli reparti/dipartimenti. Manca la capacità di “fare sistema” e di mettere a fattor comune le best practice. Anche in questo caso una regia “più centrale” potrebbe aiutare la diffusione sistemica dei benefici.
Tecnologia: manca una cultura, a livello di “catena del comando”, in grado di riconoscere alle tecnologie informatiche e digitali la capacità di generare valore. La spesa italiana pro-capite in Ict è di soli 22 euro per abitante, contro i 36 della Germania, i 40 della Francia e i 60 della Gran Bretagna, appena sotto i livelli di eccellenza del Nord Europa. Le due velocità del nostro Paese sono ancora più evidenti esaminando la spesa Ict delle strutture sanitarie che, per circa due terzi, si concentra nel solo Nord Italia. A tale proposito l’innovazione tecnologica merita un approfondimento ulteriore. “Il valore della tecnologia – afferma Mariano Corso, Ordinario al Politecnico di Milano e Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale – non risiede solo nella capacità di migliorare l’efficienza e, quindi, di ridurre i costi ma, anche, di proporre nuovi modelli gestionali da replicare su vasta scala”. Si pensi all’Fse, patrimonio di poche realtà virtuose, ma in grado di generare risparmi per oltre 2 miliardi di euro, se esteso all’intero Paese. La telemedicina potrebbe ridurre i costi di oltre 3 miliardi, favorendo la diminuzione dei ricoveri ospedalieri dei pazienti cronici, che potrebbero essere seguiti con l’assistenza domiciliare. Non dimentichiamo esempi eccellenti come l’Ospedale di Bergamo. Grazie alle tecnologie informatiche, sono stati ridotti del 30% gli errori nella preparazione dei farmaci e del 60% il tempo di supervisione alle attività di preparazione farmacologica.
“Solo grazie alle nuove tecnologie possiamo salvaguardare la qualità delle diagnosi e delle cure – prosegue Corso – Le Ict permettono di ridurre gli sprechi e di contenere i costi, destinati a lievitare per effetto dell’invecchiamento della popolazione e del conseguente aumento della cronicità. Dobbiamo uscire dall’equivoco, che più tecnologia equivalga a disumanizzare il rapporto medico-paziente”. Salvaguardia della salute e sostenibilità del sistema sanitario sono ancora tra loro compatibili. Ma bisogna agire sia sulla formazione, per limitare le resistenze al cambiamento, che sull’adozione di nuovi modelli operativi “Ict intensive”.