“La Toscana è universalmente riconosciuta come la culla del Rinascimento, molto meno per il suo ruolo in un’altra rivoluzione: è stata infatti la casa dell’informatica italiana”. Queste le prime righe del lungo post dedicato da Google al primo computer italiano realizzato all‘Università di Pisa nel 1957 e pubblicato oggi sul suo blog europeo.
Nel testo, diffuso in occasione dell’anniversario della pubblicazione del manuale utente 55 anni fa, è descritta la storia della “Macchina Ridotta” (Mr), ovvero il calcolatore a cui, dopo i preziosi suggerimenti di Enrico Fermi, lavorarono Elisabetta Abate, Alfonso Caracciolo, Elio Fabri, Giuseppe Cecchini e Sergio Sibani.
Quasi dimenticata, la vicenda di questo primo computer italiano è stata recentemente ricostruita da un gruppo di studiosi del Dipartimento di Informatica dell’Ateneo pisano grazie al progetto “Hackerando la Macchina Ridotta” (Hmr) finanziato dalla Fondazione Pisa, di fatto la prima esperienza italiana di archeologia sperimentale applicata all’informatica.
Dal 2006 ad oggi i ricercatori dell’Università di Pisa hanno ricostruito in maniera virtuale la Macchina Ridotta del 1956, un primo progetto che rimase solo sulla carta, e quella del 1957, più complessa, che fu effettivamente realizzata e usata nel 1958 per diverse applicazioni scientifiche. Poi venne smantellata e in parte riutilizzata per costruire la più nota Cep, Calcolatrice elettronica pisana realizzata nel 1961 da Marcello Conversi, fisico sperimentale proveniente dall’Università la Sapienza di Roma. In quegli anni la Olivetti di Ivrea decise di investire nell’innovazione trasformando il settore industriale della produzione delle macchine da scrivere. Attualmente la Macchina Ridotta è conservata presso la Domus Galilaeana di Pisa.
“I primi calcolatori elettronici moderni risalgono alla fine degli anni Quaranta – chiarisce Giovanni Cignoni che insieme a Fabio Gadducci ha promosso il progetto Hmr – e in Italia fecero il loro ingresso nel 1954-55 quando ne furono acquistati due di produzione estera. Nello stesso periodo, alla fine del 1954, a Pisa fu concepita l’impresa di progettare e costruire una macchina calcolatrice. La sfida fu il risultato della volontà dell’Università di Pisa, del sostanzioso contributo degli enti locali di Pisa, Livorno e Lucca e di un prezioso suggerimento di Enrico Fermi: da qui nacque nel 1957 la Macchina Ridotta, un risultato che dimostrò la capacità della ricerca italiana di recuperare il tempo perduto e di mettersi al passo con i progetti esteri più avanzati”.
Sull’apporto di Fermi alla nascita del primo computer italiano interviene Ettore Majorana, primo ricercatore dell’Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare) a Roma e nipote dell’omonimo, geniale scienziato che di Fermi fu allievo. “Scientificamente prolifico in molti settori, Fermi aveva maturato presso il laboratori di Los Alamos l’interesse per la descrizione di fenomeni fisici ‘non-lineari’ – spiega Majorana – fenomeni non accessibili con le tecniche di calcolo dell’epoca e caratteristici della maggior parte dei sistemi complessi che ci circondano in natura, dagli tsunami alle instabilità in regime d’interazione nucleare. È chiaro che questo interesse scaturiva inizialmente dal desiderio di affrontare problematiche di fisica nucleare, ma con lo sviluppo dei primi linguaggi di programmazione di alto livello (il Fortran, 1954), vedeva l’alba un nuovo settore scientifico, quello della ‘matematica sperimentale’. Da allora infatti l’uso flessibile del calcolo automatico permise di affrontare i più svariati campi della fisica e delle scienze. Fermi, memore della qualità scientifica della sede accademica da cui era partito, si rivolse ai colleghi di Pisa”.
I risultati del progetto Hmr trovano oggi applicazione nelle attività didattiche del Museo degli Strumenti per Il Calcolo dell’Università di Pisa.