L'INTERVISTA

Licenze software, Generali: “Con il lock-in digitalizzazione a rischio”

La presidente di Assintel: “Troppo costoso per le aziende passare da un fornitore all’altro. Così si frena anche l’adozione di sistemi cloud nella PA”. Impatti sulla crescita delle pmi. “Il Digital Markets Act e l’Artificial Intelligence Act possono aiutare a garantire maggiore concorrenza”

Pubblicato il 13 Ott 2022

generali

Il lock-in delle licenze software rischia di essere un freno alla digital transformation. Quel rapporto di “dipendenza” che si instaura tra un cliente ed un fornitore di tecnologia, tale che il cliente si trova nella condizione di non poter acquistare tecnologia da un vendor differente, senza dover sostenere costi per ulteriori licenze, mette in pericolo anche lo sviluppo delle Pmi. Ne è convinta Paola Generali, presidente di Assintel, che spiega a CorCom gli effetti di questa pratica.

Generali, come impatta la questione delle licenze software sui processi di trasformazione digitale in Italia, ma non solo?

Se parliamo di digitale, a livello di principio nessuno può ritenersi favorevole o contrario a qualcosa, se non analizzando le aspettative di risultato rispetto alle proprie finalità. Non è giusto o sbagliato un mercato totalmente libero e de-regolamentato come non lo è il suo opposto: ma sugli effetti a livello di sistema dobbiamo prendere posizione. Ed è quello che provo a spiegare qui. La trasformazione digitale in Italia viaggia con varie velocità e, rispetto agli altri Paesi a noi vicini, ha come peculiarità un tessuto economico che molti definiscono di “nanismo”, perché frammentato in migliaia di micro e piccole imprese. La piccola dimensione ha vantaggi e svantaggi: nel digitale può essere uno svantaggio, perché gli investimenti per attivare la transizione possono essere importanti, sia finanziariamente sia organizzativamente. Una delle tecnologie di svolta è il Cloud, tanto per le Mpmi quanto per le Pubbliche Amministrazioni. Non è un caso che anche il Piano Triennale per la Pubblica Amministrazione 2021-23 abbia ribadito tra i suoi principi guida quello del “cloud first”, con l’obiettivo di portare entro il 2026 il 75% delle PA italiane a utilizzare servizi in cloud. E ci stiamo velocemente avvicinando a questo traguardo, grazie al Pnrr sono in atto una serie di iniziative che lo incentivano, fra cui un primo stanziamento di 500 milioni di euro già assegnati ad aprile e altri 215 milioni usciti con il secondo avviso pubblico questa estate.

In che modo il mercato del Cloud è collegato con la questione delle licenze software?

Il mercato dei servizi Cloud sta vivendo una rapida espansione ormai da anni: guardando vicino a noi, secondo Assintel Report, la spesa nelle aziende italiane nel 2021 è stata di 34,5 miliardi, in crescita del 4,5% rispetto al 2020, e si prevede supererà i 36 miliardi nel 2022 per poi arrivare a 38 miliardi di euro nel 2023. Tutto ciò ha portato anche ad una espansione dell’offerta dei prodotti distribuiti dai cloud provider: qui nascono le prime avvisaglie di criticità.

Quali sono?

Se da un lato ci sono i “naked providers”, ovvero i fornitori attivi solamente nell’infrastruttura Cloud, dall’altro lato gli “integrated providers” sono quelle aziende che non solo forniscono infrastrutture cloud ma anche tutta una serie di altri software di proprietà sotto licenza, ad esempio Business Intelligence, Crm, Itsm, Microsoft. Ed è proprio qui che spesso si verifica il cosiddetto “lock-in”: un’azienda cliente che sia in possesso di licenze software acquistate da un fornitore X cerca di utilizzarle sul cloud fornito da un fornitore Y, ma questo gli viene negato, ostacolato oppure concesso solo con un sovrapprezzo o un nuovo acquisto di licenze già acquisite in precedenza, creando di fatto delle pratiche sleali e anticompetitive. I forti legami tra i servizi IaaS/PaaS e alcuni prodotti largamente diffusi e utilizzati nei mercati adiacenti agevola quindi l’abuso di posizione dominante da parte di provider di software legacy che attuano meccanismi di lock-in nei propri ecosistemi, favorendo dunque la propria infrastruttura cloud ai danni della concorrenza.

Tutto questo che effetto ha sulle piccole e medie imprese?

Per provare a quantificare l’effetto che la diffusione delle pratiche scorrette nell’ambito dei servizi cloud può determinare sul mercato Ict, l’Istituto per la Competitività (I-Com) ha condotto un’analisi lato Offerta, coinvolgendo un campione di Mpmi digitali appartenenti ad Assintel nel primo trimestre dell’anno. Oltre la metà delle aziende rispondenti – per la precisione, il 53,7% degli intervistati – ritiene che le pratiche scorrette relative alle licenze software nel mercato del cloud abbiano un effetto negativo di qualche misura sulla digitalizzazione delle aziende italiane.

Che tipo di iniziative sono state messe in campo per risolvere il problema?

Tutto parte in Europa con la campagna lanciata dall’associazione di categoria Cispe sui 10 principi del fair software licensing, a cui Assintel ha aderito. Parallelamente, l’indagine I-Com ha confermato i timori sul mercato italiano. Per quasi il 40% delle aziende rispondenti, i servizi di Cloud Infrastructure incidono per oltre il 5% dei loro costi annuali, con punte oltre il 10% per il 18,5% di loro. Un’azienda su 4 dell’Offerta ha avuto, direttamente o tramite un proprio cliente, un contatto con le pratiche scorrette. Il 38% in merito a pratiche di lock-in, il 31% su termini di licenza poco chiari o modificati in corso d’opera, il 23% restrizioni per l’utilizzo di software di altri fornitori o l’obbligo di acquistare una nuova licenza per l’utilizzo in cloud di un software già acquistato. Se guardiamo all’auspicata applicazione dei principi promossi dal Cispe, il 54,8% ritiene che la loro applicazione potrebbe determinare una crescita del fatturato complessivo del mercato Ict. Nel dettaglio, il 6,1% dei rispondenti ipotizza una crescita dei ricavi superiore al 10%, il 14,6% un aumento del fatturato complessivo tra il 6% e il 10%, il 19,5% stima una crescita tra il 3% e il 5% e infine il 14,6% tra l’1% e il 2%. Che in termini di mercato Ict significa una maggiore crescita, in un range tre 1,31 miliardi e 1,65 miliardi l’anno. Tradotto in termini generali: applicare principi che fluidifichino la libera concorrenza nell’Ict è veicolo di crescita del mercato stesso, e a valle può favorire la trasformazione digitale nelle imprese.

Come stanno reagendo le grandi software company a queste mobilitazioni?

Ovviamente le rendite di posizione fanno comodo. Ma ragionando in questo modo saremmo miopi rispetto agli effetti sull’intero “ecosistema”. In questo caso ci sono attori che devono avere uno sguardo dall’alto, per capire cosa possa far bene al sistema intero e non solo ai singoli. Questo è d’altronde lo sfondo di chi pone la trasformazione digitale come veicolo per un miglioramento generale di tutto il sistema economico e sociale. Ed è decisamente l’approccio di Assintel: come associazione rappresentiamo il digitale in tutte  le sue componenti e sarebbe altrettanto miope parteggiare per qualcuno. Tanto più che una parte della nostra mission è proprio quella di essere ambasciatori della transizione digitale, anche rispetto a quell’enorme fetta di aziende che sono le imprese del Terziario rappresentate da Confcommercio, entro cui noi ci muoviamo.

E quindi?

Venendo alle reazioni dei grandi player multinazionali. Alcuni che attuano queste pratiche sleali sono già venuti allo scoperto, di fatto riconoscendo il problema, e annunciando modifiche ai loro termini e condizioni sulle licenze. Ma non è abbastanza ai fini della risoluzione del problema e di un mercato del cloud pienamente concorrenziale e, per le Mpmi, competitivo. Adesso la campagna si trasferisce anche negli Stati Uniti, dove un gruppo di oltre una dozzina di aziende di diversi settori, dall’health alla finanza, ha lanciato un’organizzazione per sostenere regole meno restrittive e più leali in materia di licenze software per i clienti, consentendo loro anche l’uso di servizi e programmi cloud di diversi fornitori. Il tema coinvolge anche le aziende americane dell’Offerta: un sondaggio condotto su 250 dirigenti e amministratori del settore tecnologico ha mostrato come il 70% degli intervistati abbia dichiarato che i termini di licenza hanno limitato la loro capacità di rilasciare nuove funzionalità o prodotti, mentre un terzo ha risposto di aver subito modifiche inaspettate ai termini di licenza. L’adesione di aziende diverse ai principi di Cispe evidenzia quanto il tema è lontano dall’essere meramente tecnico, bensì fondante dei processi di innovazione che un’entita, pubblica o privata, piccola o grande che sia, intraprende e che necessita di essere pienamente concorrenziale.

Ci sono norme che potrebbero garantire una reale concorrenza?

La campagna di Cispe in Europa ha portato a una segnalazione alla Direzione Generale sulla Concorrenza della Commissione Europea a una lettera alla Commissaria Antitrust Vestager. Ma il movimento è molto più ampio e spazia dai lavori del Dma a quelli dell’AI Act, tutti orientati a dare una regolamentazione al mercato Ict che permetta la valorizzazione dei piccoli operatori europei e – di conseguenza – un miglior accesso delle Pmi alle soluzioni legate alla Transizione digitale.

E in Italia?

In Italia la sensibilizzazione alla tematica è stata lunga e certamente non facile ed ha portato ad una lettera al Ministro Colao fortemente spinta da Assintel-Confcommercio, che ha contribuito all’approvazione di una norma contro l’abuso di posizione dominante all’interno del Ddl Concorrenza: si tratta dell’articolo 33, in cui viene finalmente ed esplicitamente scoraggiata l’adozione di “pratiche che inibiscono o ostacolano l’utilizzo di diverso fornitore per il medesimo servizio, anche attraverso l’applicazione di condizioni unilaterali o costi aggiuntivi non previsti dagli accordi contrattuali o dalle licenze in essere”. Questo è un piccolo esempio di come occorra presidiare attentamente tutto l’aspetto normativo sul digitale: l’intero ecosistema dell’offerta – sia grandi imprese sia Mpmi deve riuscire a ripensarsi più “in grande”, connettendosi ad un obiettivo di sistema più che di performance aziendali, muovendosi nella direzione di un mercato equo e competitivo, presupposto per una vera e sana crescita attraverso il digitale.  Il mio auspicio è che il nuovo governo sia sensibile alla tematica, del digitale e dell’innovazione in maniera più ampia, e alla piena concorrenza nel mercato del cloud nello specifico. Serve avanzare sulla trasformazione digitale anche delle Pmi, il vero motore produttivo dell’Italia e che non deve restare indietro.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati