Il segreto è nella piattaforma. Il modello economico che nasce dall’integrazione tra hardware e software porta in primo piano il cambiamento dei mercati consumer e aziendale del settore Ict. Secondo Carlo Alberto Carnevale Maffé, docente di strategia alla Sda Bocconi di Milano, questo è l’ultimo passaggio prima di arrivare al computer “indossabile” del futuro.
Dal “software is king” e l’hardware una commodity di Microsoft, siamo passati a un mondo nuovo: dov’è il valore oggi?
Coesistono sistemi diversi, ma la verità è che oggi i soldi si fanno in due modi. Vendendo qualcosa che la gente paga volentieri e frequentemente oppure facendo lavorare gli altri.
Cominciamo dal primo: cosa vuol dire?
L’hardware consumer ha cicli più rapidi del software: la gente ha più desiderio di comprare un nuovo apparecchio ogni dodici mesi. È il modello dei produttori di smartphone e tablet, ma sempre più anche dai produttori di pc. Si progetta prevedendo una obsolescenza programmata soprattutto di funzionalità e design, per fare largo a nuove generazioni.
E il secondo modello?
Qui parliamo di piattaforme ed ecosistemi: App store, Android market e Facebook. Il capofila costruisce una piattaforma innovativa, e questa è la sua unica innovazione. Poi guadagna con l’intermediazione della vendita di prodotti innovativi di terzi, attraverso la sua piattaforma. In questo mondo fatto di app, fatto di universi separati e monopolistici, ci si assicura una rendita basata sull’innovazione permanente realizzata da altri. Questo è anche uno stimolo per hardware nuovo, perché le app in competizione tra loro sfruttano al massimo la tecnologia sulla quale si appoggiano.
Quindi secondo lei sono questi gli aspetti rilevanti, più che l’integrazione tra hardware e software?
No, l’integrazione è fondamentale, avviene a monte ed è il presupposto. Così come a valle si integrano questi sistemi con le piattaforme e quindi gli ecosistemi di sviluppatori. Il ciclo di vita del software distribuito digitalmente diventa velocissimo e gli utenti oggi non pagano più 100 euro per un applicativo, ma 99 centesimi, al massimo tre o quattro euro.
Questo avviene solo nel mondo consumer o anche in quello B2B?
Avviene ovunque. Anche nel mondo delle console per videogiochi: un mercato miliardario dove stanno nascendo ecosistemi basati sui social media. Anche qui si stanno digitalizzando i canali di vendita: i prezzi dei giochi sono sempre più bassi, i cicli di vita più veloci. E il valore si sposta: nel 2012 le app per gioco di iOS e Android hanno superato il valore dei giochi per Nintendo Ds e Playstation Vita.
Allora ha davvero vinto il modello di integrazione di Apple e Ibm?
Ibm nel suo settore ha fatto scelte strategiche già da molti anni. Ha eliminato la parte in cui non aveva più margini soddisfacenti, cioè la produzione di pc, e vende hardware e servizi. Vende in realtà soluzioni, ti chiede cosa vuoi fare e poi ci pensa lei: un po’ di storage, un po’ di server, un po’ di cloud, e poi i suoi venditori ti curano, ti fanno la certificazione, si preoccupano della compliance. Ha dieci anni di vantaggio su tutti ma, anche se i margini stanno calando, presidia il territorio. Dietro ci sono gli altri: Oracle con l’acquisto di Sun, Hp, la stessa Microsoft con le alleanze con Dell e Nokia.
Il futuro cosa ci riserva?
Il futuro sono i wearable computer, i computer indossabili. Gli iWatch di Apple, gli occhiali di Google. Oggi i computer li tocchiamo, domani li indosseremo. Gli apparecchi saranno sempre più connessione e sensoristica. Qui rientra in gioco la moda, il design, il valore aggiunto dell’oggetto. Potremmo rientrare in gioco anche noi italiani con il sistema moda-e-design. E comunque le piattaforme sono lo sbocco naturale dell’integrazione hardware e software.