L’Italia ha 55 siti Patrimonio mondiale dell’Unesco nel 2020 e i settori della cultura e del turismo rappresentano il 12% del nostro Pil. Eppure, la digitalizzazione fatica a trasformare questo settore vitale per la nostra economia, perché i progetti finora condotti sono più ad uso e consumo degli addetti ai lavori che degli utenti. È quanto emerge dall’analisi (SCARICA QUI LA DELIBERA) che la Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei conti ha condotto sullo stato delle spese per la digitalizzazione 2016-2020 del patrimonio culturale italiano.
I ripetuti lockdown legati all’emergenza pandemica e la successiva crisi economica hanno reso più che mai urgente, si legge nel documento, ripensare la funzione dei luoghi della cultura, affinché si aprano alla collettività con una veloce attuazione delle strategie digitali. I musei devono diventare sempre più attraenti, devono essere luoghi aperti e multifunzionali, in cui si va per ammirare un capolavoro, ma anche per socializzare o partecipare a un evento.
Le ingenti risorse del Pnrr sono ritenute decisive: “Se ben utilizzate potranno contribuire a recuperare il gap che vede le nostre istituzioni museali in forte ritardo rispetto alle best practices internazionali”.
Digitalizzazione a metà
Nel documento, approvato con Delibera n. 50/2022/G, i magistrati contabili hanno evidenziato la frammentarietà del livello di informatizzazione di 770 luoghi della cultura sul territorio nazionale, con approcci digitali spesso impermeabili al cambiamento e indicativi di un orientamento al dialogo interno tra specialisti di settore, piuttosto che all’apertura verso gli utenti, soprattutto stranieri, data la presenza di molti siti Internet in sola lingua italiana.
Quantitativamente il lavoro svolto in tema di digitalizzazione appare imponente, chiarisce la Corte dei conti: oltre 37 milioni di descrizioni catalografiche a cui sono associate circa 26 milioni immagini, contando solo ciò che è raccolto nei sistemi informativi nazionali. Tale patrimonio informativo è stato consultato da oltre 100 milioni di visitatori unici negli ultimi 5 anni.
Questi dati assolutamente positivi convivono però con numerose criticità altrettanto evidenti, si legge nel documento. Per esempio, lo stato di avanzamento della digitalizzazione procede in modo assolutamente disomogeneo: si va dal 21% delle istituzioni che non hanno realizzato alcuna digitalizzazione, fino al 23% delle istituzioni che digitalizza più del 75 per cento della collezione. Il 68% dei musei dichiara di avere un sistema di catalogazione informatizzato, ma il catalogo cartaceo è ancora diffusissimo (il 53% dei musei ha più della metà della collezione così schedata);
Mancano le competenze
Tra le criticità evidenziate c’è la carenza di una vera strategia digitale e di competenze specifiche: i musei risultano infatti ancora auto-didatti o dipendenti da consulenti esterni; il 64% dei musei ha dichiarato di non avere al proprio interno professionisti con competenze legate al digitale e solo recentemente si stanno avviando percorsi di formazione del personale; e il 76% dei musei ha dichiarato di non avere alcun piano strategico dell’innovazione digitale.
Supporti It obsoleti e costosi
Un altro nodo è rappresentato dal fatto che molti istituti, in particolar modo i musei, tendono a creare propri strumenti che difficilmente dialogano con i sistemi nazionali, presentando, nel medio periodo, difficoltà di manutenzione e aggiornamento. I progetti approvati risultano spesso realizzati su supporti informatici divenuti presto obsoleti e che hanno richiesto e ancora richiedono una complessa (e onerosa) attività diretta al recupero, spesso anche solo parziale, dei dati e delle informazioni raccolte. Solo il 22% ha dichiarato di aver preso in riuso software di titolarità di un’altra Pa: solo il 2% ha aderito al programma di abilitazione al cloud Dtd/Agid; solo il 15% ha aderito al Sistema museale nazionale (Smn) deputato alla governance del patrimonio culturale.
Pochi servizi per l’utente finale
Sul tema stesso dei servizi digitali per l’utenza, specifica la Corte, l’importante sforzo di digitalizzazione a oggi compiuto dagli uffici del Ministero della cultura si è per lo più orientato alla conoscenza scientifica e alla tutela e gestione del patrimonio, non alla sua fruizione da parte di un’utenza allargata, malgrado l’ampliamento del bacino dei fruitori naturalmente prodotto dalla digitalizzazione.
L’analisi condotta rileva una prevalenza di siti web a contenuto redazionale, mentre sono ancora poco sviluppate le forme di interazione con l’utenza. Molti siti web di note istituzioni museali utilizzano, in alternativa alla lingua italiana, la sola lingua inglese nonostante appaia di chiara evidenza che solo il rispetto del noto principio del multilinguismo può favorire la fruizione globale sotto un profilo non solo didattico, culturale e sociale, ma anche evidentemente di incentivazione del turismo.
Siti web, solo il 48% è mobile-friendly
Ancora, i musei italiani si concentrano prevalentemente sulla comunicazione tramite i propri canali di comunicazione (sito web e social network) e sono ancora poco valorizzati i canali terzi, che sono invece quelli privilegiati dagli utenti.
Il 48% dei siti web non è compatibile con i dispositivi da mobile; solo il 20% dei musei offre servizi di biglietteria online; il 32 per cento non dispone di alcun sistema informatizzato di supporto alle attività amministrative e di back office, come la gestione degli acquisti o del personale.
Quanto all’e-commerce di prodotti, solo l’8% dei musei dispone di un sistema informatizzato a supporto e l’11% lo ha in comune con altre istituzioni.
Le raccomandazioni: l’approccio cloud
La Corte fa sapere che nel dialogo con il Ministero della cultura è emersa la consapevolezza delle criticità e della necessità di agire al più presto per superarle. Queste le raccomandazioni dei magistrati contabili:
- sviluppare il potenziale delle banche dati culturali e delle collezioni digitali, sia dal punto di vista scientifico che di valorizzazione turistica;
- garantire l’uso e l’accessibilità a lungo termine degli archivi digitali e dei prodotti di digitalizzazione del patrimonio culturale;
- ridurre le inefficienze e abbassare i costi di gestione attraverso la razionalizzazione dei sistemi informativi (approccio cloud), la dematerializzazione degli archivi cartacei e la digitalizzazione dei depositi;
- creare piattaforme per un accesso ampio e integrato al patrimonio di informazioni culturali, al fine di facilitare la fornitura di servizi digitali a cittadini, turisti, scuole, imprese e società civile e garantire l’uso e il riutilizzo da parte di imprese culturali e creative, start-up.
Il nodo del diritto d’autore
La Corte raccomanda ancora di:
- formare ed aggiornare le competenze digitali tramite un programma life long learning rivolto al personale del Ministero e a tutti gli operatori che operano nel mondo del patrimonio culturale;
- elaborare indicatori della performance attendibili e costantemente aggiornati, segnatamente per ciò che riguarda il rispetto del cronoprogramma ed il puntuale monitoraggio della spesa;
- conciliare le restrittive disposizioni nazionali vigenti in materia di diritto d’autore con le condivisibili raccomandazioni comunitarie, da tempo adottate, in tema di condivisione del patrimonio artistico-culturale e di prioritaria necessità di inclusione dei soggetti a vario titolo più svantaggiati (per motivi economici, didattici, culturali ed anche geografici).
Nel rispetto di quanto previsto dal Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale e nella consapevolezza della centralità del tema nelle politiche ministeriali, il Ministero della cultura ha ritenuto di implementare il coordinamento delle politiche di digitalizzazione del patrimonio culturale, in un’ottica necessariamente intersettoriale, conclude la Corte. L’importanza del Pnrr anche in quest’ambito, non può non richiamare l’Amministrazione al rispetto dei modi e dei tempi previsti dal Piano stesso, attraverso il necessario monitoraggio degli investimenti programmati.