Un’indagine per corruzione a carico di business partner e consulenti di Microsoft tocca anche l’Italia e chiama in causa gli organi federali statunitensi, il dipartimento di Giustizia e la Sec, che hanno aperto un’indagine formale, pur se ancora nelle fasi iniziali. L’inchiesta dovrà chiarire i legami dell’azienda con i suoi soci accusati di comportamenti illeciti e capire se vi sia una relazione diretta tra i casi denunciati e il colosso americano del software.
Le accuse, delle quali ha dato notizia il Wall Street Journal, sono partite dalla Cina e si sono poi estese alla Romania e all’Italia. Pur con dettagli specifici per i diversi Paesi, il meccanismo sarebbe simile: le filiali locali del gruppo di Redmond avrebbero corrotto alcuni funzionari determinanti per l’ottenimento di appalti di fornitura software presso le pubbliche amministrazioni.
In Italia, si tratterebbe di viaggi e regali utilizzati per ottenere importanti contratti con enti della PA, anche se non ci sono ipotesi concrete né nomi e non è stato rivelato a quale periodo le accuse facciano riferimento. In nessun Paese, comunque, sono state formulate accuse dirette nei confronti di Microsoft: per ora ad essere coinvolti sono solo i partner e i consulenti, tanto che le indagini potrebbero chiudersi senza alcuna incriminazione.
L’azienda, con un post firmato da John Frank (Vice president & Deputy general counsel), ha risposto alla notizia che annunciava l’inchiesta ricordando che come tutte le multinazionali Microsoft a volte riceve segnalazioni su possibili condotte scorrette da parte di dipendenti o partner. Microsoft opera in 112 Paesi, con 98.000 dipendenti e 640.000 business partner e spende circa 2 milioni all’anno in ogni singola nazione per garantire piena rispondenza alle policy aziendali (coinvolgendo 170 dipendenti in questo ruolo di verifica), ha indicato Frank, anche se non è sempre facile evitare che qualcuno violi le regole. Microsoft ha comunque garantito piena collaborazione con le agenzie governative e ha anche promesso indagini interne, assicurando “azioni appropriate” contro chi si è comportato in modo illecito.
Indagini effettuate da responsabili esterni avrebbero già approfondito la questione sul territorio cinese, dove l’accusa ha avuto origine da un ex dipendente (che avrebbe raccontato come sia stato istruito ad agire per “facilitare” le commesse), senza tuttavia portare in evidenza alcun illecito. Il rischio per il gruppo, secondo gli osservatori, è relativo e potrebbe limitarsi a una multa, ma potrebbe essere essere messa in discussione la validità dei contratti fin qui ottenuti nei vari Paesi toccati dall’indagine, Italia compresa, oltre a un danno di immagine certamente pesante.