Nessun allarme per le recenti ondate di licenziamenti nelle grandi aziende hitech americane: a dirlo è la nuova nota di ricerca di Morgan Stanley. I tagli tra i dipendenti di colossi come Amazon e Meta danno una percezione più disastrosa (per la grande evidenza che hanno queste aziende e per il loro enorme market cap) rispetto al reale impatto sulla forza lavoro americana, sottolineano gli analisti: i licenziamenti nell’industria tecnologica da dicembre 2021 a oggi sono in totale 187mila, un numero importante per il settore, ma che supera di poco lo 0,1% degli occupati Usa.
Le Big tech si preparano a un 2023 più lento
Morgan Stanley nota che le aziende dell’hitech e dei settori adiacenti hanno condotto aggressive campagne di reclutamento che hanno portato il personale complessivo a livelli molto al di sopra di quelli pre-pandemia, staccando così le altre industrie, che solo di recente sono tornate a numeri di dipendenti simili a quelli precedenti al Covid-19.
Il trend negativo esiste e gli analisti prevedono un “netto” calo dei tassi di crescita dell’occupazione “nella maggior parte dei settori economici” a causa del calo della domanda dei consumatori che è a sua volta depressa dal rialzo dei tassi di interesse. Ma è improbabile che le industrie non tecnologiche attuino decisi tagli del personale, perché “l’economia Usa in generale continua ad avere meno impiegati di quanti ne occorrerebbero”. E ancora: “C’è poco spazio per tagliare i costi del lavoro”.
Il settore hitech fa storia a sé: i risultati finanziari deludenti e le perdite di valore in Borsa spingono il management delle aziende più impattate a ridurre il numero dei dipendenti sia per tenere sotto controllo i costi (la carenza di talenti fa sì che nel settore si competa per le risorse a suon di stipendi e benefit molto generosi) sia per dare un segnale agli azionisti: le big tech si preparano a “un 2023 più lento”, scrivono gli analisti.
Industria hitech “osservata speciale”
L’analisi di Morgan Stanley è condivisa da altri esperti, come quelli di Goldman Sachs, che hanno scritto ai clienti che “i licenziamenti nel tech non sono un segno di un’imminente recessione economica”, aggiungendo che il tasso di disoccupazione crescerebbe meno dello 0,3% se tutte le aziende del settore riducessero i loro dipendenti.
A ottobre negli Stati Uniti gli occupati sono cresciuti di 261mila unità, più di quanto previsto, e per ogni disoccupato ci sono due posizioni aperte, secondo i dati ufficiali del governo.
L’industria hitech resta, tuttavia, un’osservata speciale: “Penso che i licenziamenti in questo settore siano una conseguenza del rialzo dei tassi di interesse che potrà far rallentare le assunzioni in tutta l’economia”, ha detto il professor Jason Fuman della Harvard University ed ex consulente economico del presidente Barack Obama.
Inoltre, i licenziamenti tech potrebbero avere un impatto concreto sulle economie locali, a partire dall’area della Baia di San Francisco, ma anche Austin (Texas) e Denver (Colorado).
Di positivo, notano alcuni esperti, c’è il fatto che il mercato del lavoro si ritrova ora con migliaia di talenti hitech disoccupati (tra cui ingegneri del software e data scientist) che potrebbero essere assunti da aziende non tecnologiche (dalla PA all’healthcare alla manifattura) e portare grande esperienza e capacità di innovazione digitale.