GLI OSSERVATORI POLIMI

Startup hi-tech, in Italia sfondato il tetto dei 2 miliardi di investimenti in equity

Cresce del 44% il contributo dei fondi che continuano a fare la parte del leone. Boom dei finanziamenti dall’estero. Avanti tutta sull’open innovation: è realtà per 8 big italiane su 10 ma per le pmi la strada è ancora lunga

Pubblicato il 30 Nov 2022

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Sfondato il tetto dei 2 miliardi di investimenti totali in equity di startup hitech italiane: il dato 2022 ammonta infatti a oltre 2,1 miliardi di euro, un valore più che triplicato rispetto ai 694 milioni quantificati nel 2019. A soli dodici mesi di distanza dal superamento del miliardo di euro di investimenti annui, si registra dunque il raddoppio del capitale raccolto da investitori formali, informali e internazionali: un dato che arriva proprio a dieci anni di distanza dallo “Startup act” del 2021, l’iniziativa politica che diede la prima spinta dei policymaker a livello nazionale per la costruzione dell’ecosistema.

A rivelarlo è la decima edizione dell’Osservatorio Startup Hi-tech del Politecnico di Milano, realizzata in collaborazione con InnovUp – Italian innovation & Startup ecosystem, indagine dalla quale emerge che gli investimenti da parte di attori formali (fondi VC indipendenti, fondi Cvc aziendali e fondi Gvc) confermano il loro tradizionale ruolo di guida per l’intero ecosistema, registrando una crescita del 44% rispetto al 2012 e raggiungendo quota 731 milioni di euro.

Finanziamenti record grazie agli attori internazionali

Secondo lOsservatorio Startup Hi-tech, è la componente dei finanziamenti internazionali a determinare in maniera significativa il raggiungimento della soglia dei due miliardi di capitale raccolto, con un valore più che raddoppiato, da 435 milioni a oltre 1 miliardo (precisamente 1.029 milioni) di euro, arrivando a costituire circa la metà dell’intero ecosistema. Le startup e in particolar modo le scaleup, sembrano essere quindi sempre più uno dei veicoli preferiti per attrarre capitale all’interno del nostro Paese, un tema con cui il policy-maker e le istituzionali nazionali dovranno continuare ad affrontare con continuità nei prossimi anni. Rispetto al benchmark internazionale, la performance di rilancio dell’Italia all’uscita dalla pandemia nel 2021 ha consentito di ridurre il gap consolidato negli anni passati: la dimensione relativa dell’ecosistema italiano formale è pari a circa 1/6 rispetto a quello francese, circa 1/4 rispetto a quello tedesco e con dimensioni paragonabili a quello spagnolo.

I finanziamenti da attori informali, invece, registrano invece una contrazione del 12%, passando da 449 a 400 milioni di euro nel 2022. Tale decremento potrebbe rispecchiare un primo giro di boa circa la maturità dell’ecosistema, dove diverse startup stanno ormai passando allo stato di scaleup, con operazioni tradizionalmente più associate al mondo formale. In questo particolare frangente, risulta interessante notare come il segmento dell’equity crowdfunding registri negli ultimi 12 mesi una significativa contrazione rispetto all’ultima osservazione, dai 106 consuntivati nel 2021 a 85 milioni di euro.

“Le difficoltà di questo periodo storico non sono state un freno all’innovazione digitale: i progetti innovativi sono stati prevalentemente portati avanti senza impatti negativi, o sono stati addirittura accelerati dalle imprese – spiega Antonio Ghezzi, direttore dell’Osservatorio Startup Hi-Tech -. In questo senso sono da leggersi alcune recenti stime da parte di Cassa depositi e prestiti che preannunciano un target di 9 miliardi di euro di capitale investito entro il 2025: una previsione sicuramente ambiziosa, in cui però il ‘cambio di passo’ dimostrato nel biennio 2021-2022 porta sempre più a poter credere”.

Open innovation: una realtà per 8 big su 10

La presentazione dei dati sugli investimenti nel mondo startup ha avuto luogo in concomitanza con la pubblicazione della ricerca degli Osservatori Startup intelligence e Digital transformation Academy della School of Management del Politecnico di Milano, ai quali si deve il punto sul ricorso all’open innovation nel Belpaese.

Secondo l’indagine, l’innovazione “open” oggi è una realtà per 8 grandi imprese italiane su 10, merito del supporto – appunto – delle startup, con le quali collaborano (o hanno in programma di farlo) già oltre 7 big su 10, mentre tra le pmi i dati sono inferiori, ma in crescita (l’11% già collabora e 24% ha in programma di farlo). Tra le azioni inbound più adottate, le collaborazioni con università e centri di ricerca (67%), le attività di scouting e intelligence di startup (52%), il partner scouting su imprese consolidate (46%), le call4ideas o call4startup (37%) e gli hackathon (36%). Poco diffusi, seppur in crescita, i fondi di corporate venture capital per investire nell’equity di startup (8%).

Sostenibilità fra le leve strategiche delle ‘big’, pmi ancora indietro

L’Osservatorio Digital transformation academy rivela poi che, nonostante la difficile situazione macroeconomica, nel Belpaese continua la crescita degli investimenti digitali: dopo il forte aumento del 2022 (+4%), per il 2023 si stima un rialzo del 2,1% dei budget Ict delle imprese italiane, con il contributo delle aziende di tutte le dimensioni, comprese le pmi che segnano un aumento del 2,4%. Gli investimenti, per le grandi imprese, si concentreranno in particolare su sistemi di information security (50% delle preferenze), business intelligence, big data e analytics (46%) e cloud (30%), seguiti da software di profilazione e gestione dei contatti (Crm) e software gestionali (Erp).

Gran parte delle imprese di grande dimensioni, intanto, ha già inserito i temi della sostenibilità nei piani strategici, meno le pmi che scontano la necessità di concentrare l’attenzione sull’operatività quotidiana. E il digitale è lo strumento per supportare i processi di transizione sostenibile: ben il 60% delle grandi imprese (e il 29% tra le pmi) ha definito approcci strutturati o ruoli per rispondere a obiettivi di sostenibilità. Tra le grandi imprese già impegnate nella sostenibilità il 65% ha deciso di investire nel digitale per raggiungere obiettivi in questo ambito (il 29% tra le pmi), in particolare con sistemi di big data e analytics, soluzioni di Industria 4.0 e tecnologie per lo smart working. Solo il 3% delle grandi imprese e il 23% tra le pmi non persegue ancora in modo specifico obiettivi di sostenibilità.

I ruoli per l’innovazione: una rarità nelle pmi

Ma a chi fanno capo le politiche aziendali incentrate sull’innovazione? Il 41% delle imprese ha già definito una “direzione innovazione” o un singolo ruolo dedicato alla gestione dell’innovazione, sempre più spesso posizionata in stretto rapporto con il vertice aziendale, mentre il 31% utilizza team di progetto dedicati ad ogni specifico progetto di innovazione e il 9% possiede un comitato di innovazione interfunzionale. Ma è centrale anche integrare gli spunti di innovazione con i bisogni delle aree di business: più del 50% delle grandi imprese ha già definito ruoli di Innovation champion.  Nelle pmi sono ancora rari ruoli dedicati all’innovazione digitale (8% dei casi) e si predilige una gestione occasionale (60%) o il ricorso a consulenti esterni (13%).

“All’interno delle grandi imprese l’innovazione assume sempre maggiore riconoscimento, anche a livello organizzativo – spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Digital transformation Academy -. Al contrario di quanto avveniva in passato, e ancora adesso accade nelle piccole e medie imprese, sono ormai rari i casi in cui le attività di innovazione sono destrutturate e gestite in base alle occorrenze, mentre aumentano le imprese che decidono di definire una direzione innovazione o un ruolo di coordinamento dedicato alla gestione dell’innovazione. Sempre più spesso inoltre tale funzione è posta a diretto riporto del vertice aziendale, a testimonianza della volontà di mantenere uno stretto legame tra la direzione strategica dell’impresa e le attività di innovazione”.

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