Tre medie imprese del Mezzogiorno su quattro investiranno nelle soluzioni 4.0 nel prossimo triennio. Più precisamente, per sostenere la propria crescita, il 76% delle organizzazioni è pronto a investire nelle tecnologie abilitanti tra il 2022 e il 2024. Si tratta di una quota in linea con quella del resto d’Italia (75%), ma in crescita rispetto al triennio precedente, quando la percentuale delle medie imprese meridionali che avevano imboccato la via della transizione 4.0 era stata pari al 71%.
A dirlo è l’ultimo rapporto “Leader del cambiamento: le medie imprese del Mezzogiorno” realizzato dall’Area Studi di Mediobanca, dal Centro Studi Tagliacarne e da Unioncamere presentato oggi presso la Camera di commercio di Salerno.
Puntare sull’open innovation per riorganizzare la filiera
Il report analizza anche il tema dell’open innovation: Il 44% delle medie imprese del Mezzogiorno investirà in processi di co-innovazione entro il 2024 con almeno un soggetto esterno alla propria azienda, contro il 53% di quelle localizzate nelle altre aree. Il 32% punterà sulla collaborazione con le Università per la co-innovazione di prodotti e servizi (contro il 40%), il 3% con i subfornitori (contro il 12%) e il 15% con i clienti (contro il 17%).
Le sfide future sono governance e riorganizzazione delle catene di fornitura. L’85,1% di esse ritiene prioritario un rinnovo manageriale o generazionale (contro il 78,4% delle altre aree). Inoltre, il contesto geopolitico ha imposto un ripensamento delle catene di fornitura tanto che, per limitarne i rischi di rottura, il 75,8% delle medie imprese del Mezzogiorno (in linea con le altre aree) ha optato per una diversificazione dei fornitori, incrementandone il numero e preferendo quelli di prossimità.
Una crescita più rapida delle imprese del Centro e del Nord
Più in generale, il rapporto in particolare ha evidenziato la crescita delle medie imprese del Mezzogiorno, che negli ultimi dieci anni hanno superato le imprese analoghe del Centro e del Nord. Quest’anno si prevede in particolare un incremento del giro d’affari dell’8,1% (contro il 7,2% delle altre aree d’Italia), dopo l’aumento del 10% conseguito nel 2021. Così quasi la metà conta di superare entro il 2022 i livelli pre-Covid. A conferma di una dinamicità che in dieci anni, tra il 2011 e il 2020, ha visto crescere il loro fatturato del 35,2% (contro il 16,7% delle altre aree d’Italia), la produttività del +28,3% (contro il +20%) e la forza lavoro del +25,6% (contro il +19,8%).
Lo studio descrive una realtà che rappresenta quasi il 10% del totale delle medie imprese italiane, cresciuta fino a contare 316 aziende, delle quali circa il 40% opera in Campania. “Le medie imprese meridionali rappresentano la locomotiva industriale del territorio, figlie di un capitalismo familiare di lunga data che si tramanda da generazioni. Sono imprese che hanno anche messo in evidenza una capacità di resilienza non inferiore rispetto alle altre presenti nel resto del Paese”, ha sottolineato il presidente di Unioncamere Andrea Prete. “Sono pronte a cogliere le sfide del cambiamento puntando sempre più sulla frontiera 4.0, facendo leva anche sul Pnrr. Ma per questo servirà, soprattutto al Mezzogiorno, sviluppare un modello di innovazione improntato su una forte collaborazione tra imprese, Università, centri di ricerca locali”.
In effetti il 71% del campione analizzato dal rapporto punta sulle risorse del Pnrr: il 48% si è già attivato mentre il 23% ha in programma di farlo nel breve termine. Il 29% delle imprese, però, dichiara di non voler avvantaggiarsi delle opportunità previste dal Piano.
I gap su transizione green e welfare
La differenza con il resto del Paese resta sui temi ambientali che interessano il 73% delle medie imprese meridionali, contro il 79,2% di quelle ubicate in altre aree. Anche se evidentemente la sostenibilità resta tra gli obiettivi più significativi per le medie imprese del Mezzogiorno, in generale le tematiche ad essa legate vengono percepite come meno prioritarie rispetto al resto d’Italia, così come l’attenzione verso le condizioni di lavoro dei dipendenti, che interessa il 78,4% delle medie imprese del Mezzogiorno (contro l’81,5% di quelle delle altre aree).