Per le aziende italiane si apre la sfida sulla conoscenza dei clienti. Non si tratta di un aspetto secondario ma di uno dei fattori decisivi per offrire esperienze di acquisto eccellenti e personalizzate.
Il rapporto “La digitalizzazione delle vendite in Italia”, realizzato da Minsait in collaborazione con gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, rileva però che il percorso delle aziende verso la creazione di una relazione coerente e integrata con i propri clienti è ancora lungo. Solo il 14% delle aziende afferma, infatti, di conoscere i clienti in modo profondo e solamente il 25% ha con loro una relazione continuativa e duratura nel tempo.
Cinque mosse per conoscere meglio i clienti
A questi quattro passi, bisogna aggiungere un’ulteriore azione: l’integrazione tra canali fisici e online, il cosiddetto “approccio phygital”. Ma anche in questo ambito c’è ancora strada da fare, sebbene i comparti di servizio italiani (Banche e Assicurazioni, Energy e Utilities, Telco e Media, Turismo) risultino più avanzati rispetto a quelli di prodotto (Automotive, Fashion e Retail, Grocery).
Le imprese che riusciranno a raccogliere, integrare, analizzare (in maniera evoluta) e sfruttare il patrimonio informativo dei loro clienti avranno un vantaggio decisivo nel breve termine, in quanto solo queste aziende saranno in grado di garantire esperienze semplici, coerenti e funzionali per i propri clienti.
Data strategy
Negli ultimi anni, soprattutto a seguito della pandemia, è diventato ormai evidente che i cambiamenti avvenuti nelle modalità di acquisto e relazione tra clienti e imprese non solo si manterranno, ma continueranno a evolvere. Semplicità, immediatezza, flessibilità e integrazione di canali ed esperienze sono solo alcune delle parole chiave che descrivono le aspettative – attuali e future – dei clienti, consumer ma anche business.
Oggi più che mai le aziende hanno bisogno di una vera data strategy, indispensabile sia per massimizzare il valore nel tempo dei clienti e sia per migliorare l’esperienza e la qualità dei prodotti/servizi offerti. Diventare capaci di raccogliere, integrare, analizzare (in maniera evoluta) e sfruttare il patrimonio informativo è la sfida che caratterizza le realtà di qualunque settore.
La data strategy deve essere impostata in tre fasi, ossia la raccolta e integrazione, l’analisi, la relativa valorizzazione dei dati sul cliente.
I dati così gestiti consentono di comprendere realmente le caratteristiche, i comportamenti e i bisogni dei propri clienti. I dati diventano quindi informazioni che possono essere sfruttate nelle interazioni e comunicazioni ai clienti. Grazie a queste informazioni, infatti, si può anche conoscere a che punto del customer journey si trova il singolo cliente e mandare delle comunicazioni, anche automatizzate, che siano rilevanti per quel cliente in quel preciso momento e che lo accompagnino nel funnel di acquisto, verso la conversione. Circa la metà delle aziende analizzate prevede l’invio di comunicazioni di questo tipo ai propri clienti. Tale percentuale si conferma se guardiamo alla diffusione di piattaforme di Marketing Automation (presenti nel 54% delle realtà), che consentono l’invio di comunicazioni personalizzate sulla base dei dati raccolti.
Integrazione dei touchpoint
I punti di contatto (fisici e digitali) con il cliente/prospect, devono essere opportunamente progettati in modo che il cliente si senta riconosciuto nel dialogo con il brand. Risulta quindi necessario: integrare a livello tecnologico e di processo i diversi touchpoint attivi, così da consentire al cliente di muoversi liberamente sulle diverse property aziendali lungo tutto il journey d’acquisto.
In primo luogo, per offrire un’esperienza omnicanale ai propri clienti è indispensabile riuscire a riconoscerli su tutti i touchpoint a loro disposizione, sia online che fisici. Solo il 35% delle aziende analizzate afferma di essere in grado di farlo in maniera completa, mentre il 55% è in grado di allineare solamente alcuni dei canali (ad esempio quelli digitali).
Unificazione dei database
Per garantire integrazione e coerenza tra i diversi touchpoint, questi devono comunicare con le stesse basi di dati relative ai clienti e ai prodotti/servizi, come ad esempio il Crm o il Pim (Product Information Management): questo avviene solamente nel 30% delle aziende analizzate. La gran parte delle imprese riesce a completare questa integrazione solamente per alcune tipologie di dati (26%), ad esempio i dati anagrafici o lo storico d’acquisto, oppure solo per alcuni dei propri touchpoint (32%). Tra coloro che non hanno ancora raggiunto l’obiettivo, circa un terzo ci sta lavorando.
I touchpoint possono essere una grande risorsa anche in ottica di arricchimento informativo (data enrichment), in quanto possono contribuire a nutrire i sistemi aziendali di immagazzinamento dati. Oltre a valorizzare i dati provenienti dai touchpoint interni (di prima parte) è importante utilizzare dati provenienti da canali esterni (di seconda e terza parte). In questo modo si rende l’esperienza di fruizione personalizzata e calata sul singolo utente.
Architettura tecnologica
Le aziende devono costruire un’architettura tecnologica in grado di supportare il dialogo tra il cliente e l’azienda. In questo senso è cruciale integrare le informazioni sui propri clienti attraverso un’infrastruttura tecnologica evoluta, come ad esempio un’architettura a microservizi o un Digital Integration Hub che consentirebbe una cosiddetta vista unica sul cliente, o Single Customer View.
Il Digital Integration Hub (Dih) è un paradigma architetturale che permette alle imprese di migliorare la Customer Experience. Un Dih è un’architettura applicativa avanzata che aggrega molteplici sistemi di back-end, i quali gestiscono dati creando un unico data store scalabile e ad alte prestazioni. Questo data store ad alte prestazioni è sincronizzato con le sorgenti dati applicative attraverso pattern di integrazione che combinano logiche a eventi, richieste e batch.
L’obiettivo di un Dih è di abilitare l’implementazione di un livello di Api ad alto throughput e bassa latenza realizzando un disaccoppiamento tra i dati dei sistemi legacy e i servizi di elaborazione dati delle Api, consentendo di:
- Prevenire il sovraccarico dei sistemi legacy dovuto al carico computazionale richiesto dalle Api;
- Semplificare le integrazioni applicative richieste dalla implementazione dei servizi della Api;
- Creare esperienze digitali nuove e avanzate per gli utenti attraverso i sistemi di front-end.
Integrazione phygital
In un contesto di trasformazione omnicanale, si assiste ad un profondo riassetto dei punti vendita fisici. Nell’implementazione di queste modifiche al punto fisico la tecnologia digitale gioca un ruolo centrale. Le soluzioni tecnologiche utili a generare integrazione con l’online sono:
- sistemi di Sales Force Automation, che permettono al personale di approfondire la conoscenza del cliente cross-canale (accesso ad informazioni sullo storico di acquisti, sulle preferenze) e garantire dunque un’esperienza personalizzata;
- soluzioni volte ad ampliare l’assortimento dei punti vendita, grazie alla possibilità di consultare, tramite appositi device, l’intero catalogo di prodotti e/o servizi disponibili fra i diversi canali;
- sistemi di prenotazione online della visita in punto vendita, soluzioni in grado di raccogliere informazioni sul comportamento del consumatore in store (dati d’acquisto, preferenze) e di integrarle con quelle collezionate tramite altri touchpoint;
- sistemi volti ad automatizzare l’esperienza del consumatore in punto vendita (self scanning per approfondire le caratteristiche dei prodotti, chioschi per acquistare – anche online – prodotti/servizi in autonomia, …) e integrarla cross-canale.
Le aspettative di consumatori e retail
Anche secondo una recente ricerca di Manhattan Associates l’omnicanalità in ottica phygital è cruciale. La maggioranza dei retailer ha dichiarato di avere un livello di interconnessione tra le funzioni online e quelle in-store (83%), solo la metà offre la possibilità di acquistare in-store e restituire online (50%), o di acquistare online e restituire fisicamente il prodotto(46%). Inoltre, solo il 6% dei retailer ritiene di avere una panoramica costante e accurata del proprio stock, un aspetto fondamentale per garantire non solo la redditività, ma anche una shopping experience ottimale.
Inoltre, quasi un quarto dei consumatori (24%) si aspetta che gli shop assistant siano in grado di verificare la disponibilità in uno store vicino se un prodotto è esaurito o di ordinarlo per la consegna o il ritiro a domicilio, evidenziando così l’amalgamarsi degli spazi di vendita fisici e digitali.
L’inflazione sta condizionando anche le abitudini di spesa dei consumatori. Secondo la stessa ricerca, l’82% degli acquisti in-store è ora influenzato dai canali online, e il motivo più comune per cui si inizia l’esperienza di acquisto online è trovare il prezzo migliore (46%), seguito dall’assicurarsi che il prodotto sia disponibile (42%).
I retailer dovranno sfruttare ogni singola merce dello stock attraverso i vari store fisici e digitali per ottenere profitti. Molti stanno rivalutando il ruolo dei loro store, riconoscendo il loro valore aggiunto come centri strategici per le vendite online e come centro di fulfilment per il click & collect, i resi, l’endless aisle e la consegna in giornata.
Mentre i retailer si preparano a cicli di vendita più lunghi e a sconti più consistenti, in alcuni mercati esiste la possibilità concreta di una battaglia di prezzi. D’ora in poi, con una concorrenza così agguerrita, i retailer non solo dovranno offrire sconti significativi, ma anche un customer service impeccabile.