Un brand che crea l’atmosfera, meglio se digitale. È il desiderio delle più importanti catene commerciali, ma anche di qualche piccolo negozio, preferibilmente neonato e per questo geneticamente predisposto all’innovazione. Se l’obiettivo è vendere, poco importa che si raggiunga online o offline. Anzi, l’unione dei canali fa la forza e sta producendo una vera mutazione del commercio. È l’effetto lungo dell’e-commerce che, sviluppandosi, plana sulla terraferma ed entra in negozio. I segnali sono molteplici. Che il commercio tradizionale cerchi sbocchi digitali è normale, anche se in Italia accade meno di quanto si possa pensare (vedere articolo a pagina 4). Più interessante è, a livello globale, la marcia contraria. Google sta studiando una catena di negozi per “esporre” i suoi prodotti e il suo mondo. Amazon sperimenta a Seattle e intanto lancia i Locker, corner dedicati per il ritiro della merce nelle principali catene americane e londinesi. eBay fa qualcosa di simile e immagina altre forme di “materializzazione”. La partita, come segnalava l’Osservatorio ecommerce del Politecnico di Milano nello scorso autunno, è ormai multicanale. Se solo fino al 2011 era scontato che Wal Mart fosse campione indiscusso del commercio americano (e mondiale), adesso quel primato non è così indiscutibile. Tanto è vero adesso lancia la sfida ad Amazon nell’online contando sui suoi 4mila supermercati come basi logistiche. Ogni confine è abolito. Basti pensare che nella Silicon Valley Google sta testando la vendita di auto…
Every Business Is a Digital Business, avverte Accenture nel suo recente report “Technology Vision 2013”. Ma è vero anche il contrario: non c’è business digitale che possa fare a meno di un presidio fisico, specie per i prodotti di largo consumo. Del resto comprare in un negozio conserva molti vantaggi, primo la possibilità di conoscere e provare i nuovi prodotti, non ultimo quello di uscire di casa. Per questo motivo i punti vendita di nuova generazione cercano tutti di offrire “esperienze” e per questo si affidano alla tecnologia. Ecco la versione di Jeff Bezos: “Vogliamo fare qualcosa che sia unicamente Amazon. Quando troveremo quell’idea allora apriremo i negozi Amazon”. E sembra che a Seattle siano vicinissimi all’idea. “I grandi operatori online apriranno tutti prima o poi reti fisiche”, dice Gionata Tedeschi, senior advisor innovazione e digital marketing in Accenture. Perché, è facile da capire: “L’effetto Ropo – research online purchase offline – vale 20 miliardi solo in Italia. E quando un imprenditore si rende conto di questi volumi, perché dovrebbe trascurarli?”.
Il tema è la circolarità del business. Ed Apple resta l’eccellenza, con i suoi store che hanno proposto un ambiente unico e di successo. Crearlo non è così facile come sembra. Il primo negozio della mela morsicata fu inaugurato in Virginia nel 2001 e in meno di cinque anni le vendite raggiunsero il miliardo di dollari, con un ritmo di crescita senza precedenti. Un risultato raggiunto grazie alla visione controcorrente di Steve Jobs, che non voleva un negozio come gli altri rivenditori di computer. Non vendiamo macchine, arricchiamo la vita, era il suo mantra. E, nello scetticismo generale dei suoi superconsulenti, si ispirò agli hotel Four Season e agli shop di casalinghi Williams Sonoma. Morale della favola: non c’è innovazione se si ripetono formule sicure.
Quello che manca nel commercio italiano in questo momento difficile sembra proprio il coraggio. La grande distribuzione viaggia a due velocità: quella dei beni elettronici di largo consumo è già all’opera come dimostrano le esperienze di Mediamarket (Media World e Saturn, vedi intervista a pagina 4) ed Euronics 3.0, che stanno lavorando per integrare online e offline; quella alimentare si muove incerta, crede ancora poco allo shopping online (e lo vive ancora come una minaccia per i punti vendita fisici) e tanto meno pensa all’integrazione dei canali. Tesco resta per il momento irraggiungibile. La catena anglosassone a Londra e in Corea ha installato nelle stazioni della metropolitana pannelli digitali che permettono di fare la spesa con lo smartphone e scegliere se ritirarla in negozio o farsela mandare a casa. In Italia qualcosa del genere vorrebbe fare Klikkapromo, ma per il momento si limita a manifesti con quarkcode che danno informazioni su prezzi e prodotti. “Abbiamo aperto i nostri scaffali virtuali a Roma e Milano per portare nel fisico il servizio del digitale – spiega l’Ad Luciano Mazzone -. Con un traffico potenziale di 2milioni di utenti da ottobre a Milano abbiamo avuto circa 10mila interazioni al giorno. Le grandi catene sono interessate. Ma la gestione è complicata. Un esperimento è in corso a Torino con Ocean”.
Integrare non è facile. Perché cambia il modello di business, la gestione della logistica, la formazione del personale. “Dipende da dove si parte e dove si vuole arrivare”, osserva Guido Rugginini, Operations Directore di Ibs (InternetBookShop), libreria online titolare della prima transazione italiana nel 1998 che dopo essere entrata nell’orbita del gruppo Giunti &Messaggerie è diventata un’insegna fisica in nove città. “Ad essere apprezzata è soprattutto la possibilità di accedere a 140mila titoli, quando una libreria di solito riesce ad averne in magazzino massimo 30mila”. Presto dai negozi si potranno consultare i contenuti digitali (schede, consigli, recensioni, etc.) attraverso la lettura del barcode. “Avere dei magazzini più leggeri è uno dei virtuosismi attivati dall’integrazione – osserva Tedeschi -. Come anche avere uno staff ridotto e clienti fidelizzati”. Che possono persino essere identificati ogni volta che varcano la soglia d’ingresso. In centinaia di negozi negli Stati Uniti, in Europa e in Sud Africa sono installati i display della società svedese Id24 che segnalano il cliente registrato attraverso il proprio account Facebook appena si avvicina al negozio e permettono di gestire il suo profilo e i suoi acquisti. “Si aprono frontiere impensabili”, conclude Fabrizio Valente, fondatore di Kikilab, partner italiano del network internazionale Ebeltoft focalizzato sull’innovazione nel retail, che sottolinea la tendenza del momento: start up che hanno nel dna l’integrazione di online e offline. In ogni settore. Perché il cliente “multimodale” una volta che si abitua cerca il canale più comodo secondo il ritmo della sua vita. E vorrebbe trovare sempre la proposta giusta, nel modo più comodo e piacevole.