Una cifra monstre, circa 870 milioni di euro. È la presunta evasione fiscale ipotizzata dalla Procura di Milano che aperto un’inchiesta, già passata per la Gdf e la procura europea, su Meta.
Ad avviare un’istruttoria amministrativa erano stati i pm della Procura europea Giordano Baggio e Sergio Spadaro, con il vice procuratore europeo Danilo Ceccarelli. Che poi hanno “passato il caso” alla Procura di Milano, diretta da Marcello Viola, ed è stato assegnato al pm Giovanni Polizzi del secondo dipartimento guidato da Tiziana Siciliano.
Un’impostazione giuridica innovativa
L’indagine si basa su un’impostazione giuridica e fiscale innovativa, che, se accolta, potrebbe estendersi anche ad altre multinazionali dell’high-tech e in altri Paesi. Il Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano per arrivare a contestare quell’importo come omesso versamento dell’Iva, per gli anni che vanno dal 2015 al 2021, ha effettuato un calcolo ad hoc sulla cosiddetta “permuta di beni differenti”.
In sostanza, l’Iva non versata riguarda l’iscrizione degli utenti sulle diverse piattaforme social. Iscrizioni che avvengono sì gratuitamente, ma con l’utente che in realtà paga una sorta di “fee”, perché mette a disposizione i propri dati personali e con tanto di potenziale profilazione di quei dati. Ed è proprio attraverso questo scambio, formalmente gratuito, che Meta può trarre comunque un profitto. Guadagni che, secondo la Procura, devono essere tassati con l’applicazione dell’Iva.
La replica di Meta
Ma il colosso guidato da Mark Zuckerberg è già pronto a contrastare le accuse. “Prendiamo sul serio i nostri obblighi fiscali e paghiamo tutte le imposte richieste in ciascuno dei Paesi in cui operiamo – ha fatto sapere un portavoce dell’impresa che gestisce i social – Siamo fortemente in disaccordo con l’idea che l’accesso da parte degli utenti alle piattaforme online debba essere soggetto al pagamento dell’Iva. Come sempre, siamo disposti a collaborare pienamente con le autorità rispetto ai nostri obblighi derivanti dalla legislazione europea e nazionale”.
E le altre Big tech?
Negli ultimi anni la Procura milanese ha portato avanti molte indagini sui giganti del web, che sul fronte penale si sono chiuse o con archiviazioni o con patteggiamenti a pene pecuniarie basse per i responsabili delle aziende. Conclusioni arrivate, però, dopo che sul fronte tributario le società hanno staccato maxi assegni di risarcimento nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.
L’ultimo caso è stato quello di Netflix che ha chiuso i conti col Fisco versando quasi 56 milioni di euro. Prima ancora Google con 306 milioni di euro nel 2017 e Apple due anni prima con 318 milioni per chiudere tutte le pendenze. Già nel 2018, poi, Facebook si era messa in regola versando all’Erario oltre 100 milioni di euro, cifra simile a quella sborsata nel dicembre 2017 anche da Amazon.