Google accusa Microsoft di usare tattiche anti-competitive sul cloud computing e critica gli imminenti accordi con i fornitori europei del cloud, affermando che non risolveranno le preoccupazioni sulle condizioni commerciali di Azure. Stando alla divisione cloud di Google, infatti, non viene pienamente affrontata la pratica di Microsoft di offrire in un “pacchetto” i suoi diversi software e servizi, rendendo più difficile o costoso scegliere un fornitore cloud alternativo.
L’attacco arriva dal vice presidente di Google Cloud, Amit Zavery. Il top manager di Muntain View ha chiesto ai regolatori antitrust dell’Unione europea di mettere la questione sotto la lente di ingrandimento.
Cloud, l’attacco di Google a Microsoft
Si tratta del primo commento pubblico di Google Cloud sugli accordi di Microsoft in Ue, dove l’Antitrust ha già acceso un faro sulle prassi di Redmond, spinta dalle denunce dei fornitori europei più piccoli attivi sul mercato del cloud. L’azienda americana ha proposto una modifica delle sue tattiche commerciali stringendo un accordo con i concorrenti più piccoli che, in cambio, rinunceranno al reclamo presso l’antitrust, secondo quanto riferisce Reuters, e ciò eviterà a Microsoft un’indagine formale dell’Unione europea.
Ma se i piccoli provider potranno dichiararsi soddisfatti, per Google la partita resta aperta.
“Microsoft ha davvero un comportamento anti-competitivo sul cloud”, ha dichiarato Zavery all’agenzia di informazione Reuters. “Fanno pesantemente leva sul loro dominio nell settore on-premise nonché su Office 365 e Windows per legare Azure e il resto dei servizi cloud all’intera offerta e rendere complicato per i clienti scegliere”.
Zavery ha detto che numerosi clienti di Google Cloud hanno riferito che molte di queste tattiche di bundling, e il modo in cui finiscono con l’imporre vincoli su prezzo e licenze, rendono difficile scegliere un provider diverso da Azure nel momento in cui si usano altri prodotti Microsoft.
Battaglia sul mercato del cloud europeo
Le accuse evidenziano che la rivalità tra i due big americani resta accesa, anche perché Big G vuole ritagliarsi uno spazio più grande sul mercato del cloud computing al momento dominato da Amazon con Aws e da Microsoft con Azure.
Lo scorso anno proprio Amazon e Google avevano protestato contro Microsoft per la modifica degli accordi di licenza sui servizi cloud perché – a detta delle due aziende – le nuove regole limitano la concorrenza e disincentivano i clienti dal passare a un fornitore rivale.
Microsoft ha presentato le modifiche sotto un’altra luce, affermando che renderanno più facile per i cloud provider competere e che supporteranno “la capacità dei clienti di spostare le proprie licenze nel cloud di un partner, sfruttare l’hardware condiviso e avere una maggiore flessibilità nelle opzioni di implementazione per le loro licenze software”.
Ma i servizi cloud di Amazon, Google, Alibaba e della stessa Microsoft sono stati esclusi da questa modifica degli accordi di licenza.
Secondo quanto commentato da alcuni esperti già lo scorso agosto, la mossa di Microsoft sul cloud sarebbe tesa a evitare nuove possibili grane legali derivanti dai reclami ricevuti dalle autorità di regolamentazione antitrust dell’Ue. La società, che nell’ultimo decennio è stata multata per 1,6 miliardi di euro dalla Commissione europea per varie violazioni, si è infatti trovata ancora una volta nel mirino dell’Unione a seguito delle denunce dei fornitori di servizi cloud in Germania, Italia, Danimarca e Francia. Gli accordi di licenza riveduti implicano che le imprese potranno utilizzare le loro licenze su qualsiasi cloud provider europeo.
“Chiediamo con forza a tutti i fornitori di servizi cloud di non legare i loro clienti con contratti esclusivi e di competere sulla base delle loro tecnologie”, aveva twittato il vice president for government affairs and policy di Google Cloud, Marcus Jadotte.
“Stiamo lavorando per offrire maggiore flessibilità e scelta e semplificare la collaborazione con i partner per l’hosted cloud, indipendentemente dal fatto che i clienti portino le loro licenze o le ottengano da un partner”, ha affermato Microsoft.
Meta verso lo stop delle ads politiche
Il Financial Times riporta che i vertici del colosso dei social temono che Facebook e Instagram non saranno in grado di allinearsi alle prossime norme dell’Ue sulle campagne pubblicitarie online.
Le norme sulle piattaforme online mirano a contrastare l’effetto negativo del political targeting sulle libere elezioni e sul sano dibattito politico. Gli annunci a sfondo politico, infatti, possono portare ad estreme polarizzazioni del dibattito politico, diffondere fake news e addirittura scoraggiare specifici gruppi di elettori dall’esprimere il proprio voto. I top manager di Meta – secondo il FT – temono che la definizione di ad politica della legislazione Ue sia talmente ampia che sarebbe più semplice rifiutare tutte le campagne pubblicitarie a pagamento di natura politica su tutti i siti del gruppo.
Come per le altre big tech, quello della compliance sulle ads è solo uno dei tanti fronti aperti col regolatore Ue. Lo scorso dicembre l’Edpb (European data protection board) ha adottato tre decisioni vincolanti con cui ha risolto le controversie in materia di privacy suscitate dal trattamento dei dati degli utenti di Meta Platforms Ireland, la sede europea del gruppo americano. Le decisioni del Garante privacy europeo si basano sull’art. 65 del Gdpr e vincolano il Garante privacy irlandese, che aveva posto la questione all’autorità Ue, ad adottarle per risolvere le controversie. Per Facebook e Instagram si trattava, in particolare, della legittimità e trasparenza del trattamento dei dati per scopi di pubblicità comportamentale.