BANDA LARGA

Scavi, è guerra di “trincea”

Atteso per fine mese il Regolamento scavi per le infrastrutture a banda larga e ultralarga. Si punta a mettere ordine fra norme e cavilli. Ma fra Tlc e Comuni non è detto che scoppi la pace

Pubblicato il 22 Apr 2013

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È prossimo il momento della verità, tra operatori telefonici, Comuni e vari enti che hanno titolarità su strade o terreni dove si stanno sviluppando le nuove reti in fibra. Alcuni fattori stanno confluendo perché si arrivi, per la prima volta, a un equilibrio di regole e accordi su base nazionale in merito a scavi e permessi. Non sarà facile perché le posizioni dei diversi attori non sono ancora allineate. Ma si stanno avvicinando.

È un quadro a luci e ombre quello che emerge da questa inchiesta del Corriere delle Comunicazioni sulla burocrazia degli scavi. Le notizie che spingono a favore delle nuove reti sono due. Un decreto attuativo (al Crescita 2.0) che dovrebbe arrivare a fine mese (“Regolamento scavi per le infrastrutture a banda larga e ultra larga nell’intero territorio nazionale”) a firma di Mise e Mit e un pacchetto di misure proposte a fine marzo dalla Commissione europea. A dire il vero l’impatto di quest’ultimo è dubbio perché la Commissione sembra mancare il bersaglio delle vere lacune italiane, che stanno ostacolando lo sviluppo della fibra. È opinione condivisa dagli addetti ai lavori interpellati. Le semplificazioni proposte sono di quattro tipi: per l’accesso alle infrastrutture fisiche, il coordinamento dei lavori civili, le loro autorizzazioni e la predisposizione di nuovi immobili e ristrutturazioni alla fibra. Per la Commissione Ue si risparmierebbero 40-60 miliardi di euro all’anno in Europa in scavi per la fibra. Tutto sommato i primi due aspetti hanno fatto grossi passi avanti in Italia dal 2008 a oggi, a forza di vari decreti e delibere Agcom. Da ultimo il decreto Crescita 2.0 completa il percorso dei diritti d’accesso, consentendo agli operatori di posare la fibra nei palazzi senza il permesso dei condomini. La norma per la predisposizione degli edifici alla fibra è invece in effetti una lacuna in Italia, ma è meno urgente di altri temi, visto che da noi per ora le reti di nuova generazione si svilupperanno in prevalenza tramite fibra fino all’armadio.

Il nodo che resta sono quindi le autorizzazioni e gli aspetti correlati. Ma la questione che ostacola gli operatori non riguarda le norme pure e semplici. “Sarebbe un errore non tenere conto della situazione specifica italiana. Dopo le norme adatte, bisogna garantire che l’interpretazione sia omogenea, che le declinazioni territoriali siano coerenti, che l’attuazione venga garantita”, dice Cristoforo Morandini, di Between-Osservatorio Banda Larga. L’esperienza degli operatori è che c’è una quota di enti – residuale ma non trascurabile – che non rispetta le norme (il 20% dei Comuni e una percentuale maggiore di enti diversi dai Comuni, riferisce in particolare Fastweb). Oppure – come segnala anche Agcom – sfruttano le lacune delle norme per chiedere ripristini eccessivi, ingiustificati del manto stradale e per negare il permesso a tecniche di scavo innovative (minitrincee).

Il decreto attuativo vuole fissare criteri per risolvere entrambi gli aspetti. Ma soprattutto “vuole definire una disciplina unica e omogenea su tutto il territorio nazionale, eliminando le incertezze burocratiche che gli operatori devono affrontare negli scavi”, spiegano dal ministero allo Sviluppo economico. È questo principio l’elemento più importante per mettere fine ai contrasti: arrivare al primo regolamento unico che valga in tutta Italia, senza le attuali zone d’ombra e senza spazio per divergenti regolamenti comunali.

“È necessario un regolamento che standardizzi le regole. Solo così gli operatori sapranno quello che devono fare, per le reti, su tutto il territorio”, dice Marzia Minozzi, responsabile regolamentazione di Assotelecomunicazioni-Asstel, che sta portando nelle sedi istituzionali le istanze degli operatori su questi temi.
In teoria le norme nazionali già dovrebbero sovrapporsi ai regolamenti, soppiantandoli; ma a volte non ci riescono perché non sono ancora abbastanza dettagliati oppure perché lasciano ambiti di arbitrio ai Comuni (in particolare, appunto, nella quantità di asfalto da ripristinare e sull’autorizzazione delle minitrincea).

La direzione è insomma verso norme più dettagliate, omogenee, con sempre meno spazi di manovra per chiunque, diverso dall’operatore tlc, ha titolarità su asset da cui può passare la fibra ottica. “La conseguenza – superando tutti gli attuali ostacoli burocratici – sarà di ridurre a un terzo i costi infrastrutturali per le nuove reti”, spiegano dal ministero dello Sviluppo Economico. È una partita da miliardi di euro, quindi.Eppure, c’è ancora il timore che tutto questo non basti. Le novità formali in arrivo sono in fin dei conti ancora confinate nell’ambito di norme calate dall’alto. È lo stesso meccanismo – per quanto reso più sofisticato e ambizioso – che finora ha vissuto divergenze tra la teoria e la pratica. Il dubbio viene se si ascolta la voce dei Comuni, che chiedono di essere coinvolti nella nascita delle nuove norme, “perché queste siano realmente applicabili nelle nostre città”, fanno sapere da Anci (Associazione nazionale comuni italiani), interpellata in queste pagine.

Allora forse serve un passo in più, per eliminare gli intralci alle nuove reti nella pratica e non solo nelle norme: un coinvolgimento attivo di tutti gli attori, insieme. È quello che ancora manca in Italia ed è la principale minaccia alle facilitazioni per le nuove reti.

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