Va bene. Adesso abbiamo anche un altro decreto, firmato dal ministro Profumo, che aggiorna i requisiti per l’accessibilità dei siti web della Pubblica Amministrazione, allineando l’Italia ai migliori standard internazionali. Dovremmo essere orgogliosi? Forse sì, se questo passo rappresentasse un’effettiva crescita di attenzione verso la disabilità.
Già dal gennaio 2004 la legge Stanca detta le “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”. Peccato che tra tutti i soggetti pubblici solo il 4% disponga di siti web accessibili da parte dei disabili e conformi ai requisiti di legge. Se questo è il risultato, significa che in quasi dieci anni nessuno ha presidiato l’argomento, perché non risultano né sanzioni né, tanto meno, variazioni significative nei risultati. Ritorniamo, allora, su un vecchio tema: ci piace tanto fare le leggi, ipernormarci, essere cavillosi nel prevedere di regolamentare anche le microsituazioni, per illuderci di avere tutto sotto controllo. La forma prevale sulla sostanza. Ci accontentiamo, evidentemente, della teoria e sulla parte pratica, cioè l’applicazione, il monitoraggio, il miglioramento, siamo latitanti.
La critica non è, ovviamente, verso il ministro Profumo, che ha perseguito un obiettivo di civiltà, ma verso una cultura che, per alcuni aspetti, ci impedisce di crescere. Dovremmo essere capaci di mettere in discussione, in termini oggettivi, ciò che non funziona, valorizzare le nostre qualità, ma avere anche il coraggio di modificare i nostri comportamenti, evitando i tatticismi che, oggi, ingessano il Paese.
Agenda Digitale ci dà uno strumento, agganciato all’Europa, non solo per migliorare la competitività, ma anche per aumentare il benessere collettivo e il grado di civiltà. Una tecnologia non accessibile a un anziano, a un disabile, o a una persona che non parla la lingua del paese che lo ospita, equivale a una barriera architettonica. Le tecnologie informatiche possono fare molto per l’integrazione della diversità, non solo per l’accessibilità e usabilità da parte dei disabili e di tutti coloro che sono in condizioni di svantaggio, ma anche per favorire l’inserimento nel mondo del lavoro. Il tasso di occupazione dei disabili in età lavorativa è meno della metà di quello del resto della popolazione. “Questo è il segno di una persistente difficoltà alla reale possibilità di svolgere un’attività lavorativa – afferma Isabella Gandini, Responsabile dell’Osservatorio Ict Accessibile e Disabilità della School of Management del Politecnico di Milano -. Le cause vanno ricercate nelle limitazioni imposte dalle condizioni di salute e dalle barriere, culturali e ambientali, che si frappongono tra il disabile e il mondo del lavoro”.
Il telelavoro, particolarmente idoneo a venire incontro alle esigenze di chi, per esempio, ha difficoltà motorie o necessita di cure a domicilio, stenta a decollare. Un’indagine conoscitiva dell’Osservatorio, condotta nel 2012 su un centinaio di imprese di grandi dimensioni, rivela che meno della metà delle aziende in grado di adottare il telelavoro, lo utilizza per i dipendenti con disabilità. Anche in questo caso le norme esistono. Uno speciale fondo, costituito dal 2004, permette di rimborsare le spese sostenute per le tecnologie di telelavoro.
“In Italia il tema dell’inclusione, compresa quella digitale – prosegue Gandini – è ancora lontano da un livello soddisfacente di realizzazione, tanto che gli interventi per colmare questo gap dovranno essere significativi”. A cominciare dalla banda larga e ultralarga, presupposto tecnologico, non solo per la diffusione delle tecnologie informatiche, ma anche per lo sviluppo dei servizi rivolti ai cittadini. Per il mondo della disabilità bisogna, però, andare oltre, pensare secondo schemi non solo assistenziali, ma di reale integrazione. Nei testi di legge è necessario richiamare l’attenzione per chi è in condizioni di svantaggio. Nei programmi per lo sviluppo dell’economia digitale, quando si parla di alfabetizzazione, bisogna ricordare che esiste anche quella verso la popolazione svantaggiata. Opportunità di lavoro possono essere create per chi, disabile, può insegnare ad altri l’uso delle tecnologie informatiche, prevedendo speciali abilitazioni. Infine, non trascuriamo che il riconoscimento della pari dignità di una persona svantaggiata, passa anche attraverso l’osservanza di una legge che lo riguarda.