Vanno molto meglio le cose, rispetto a poco tempo fa, tra gli operatori che posano fibra e gli enti pubblici. E tuttavia ci sono ancora problemi. Parola di Telecom Italia e Fastweb, interpellati a riguardo proprio nei giorni in cui i due sono impegnati nella più grande opera di infrastrutturazione con fibra ottica degli ultimi dieci anni. “Ormai è affermato il nostro diritto ad accedere a infrastrutture pubbliche e di concessionarie pubbliche. Lo assicura una norma del 2008, poi confermata nel 2011 che ha aggiunto che l’accesso deve essere senza oneri”, spiega Stefano Paggi, responsabile Open Access di Telecom Italia. “E lo stiamo facendo: a Udine utilizziamo la rete ferroviaria per 16 km di fibra e quella della pubblica illuminazione per 7 km, grazie a un accordo del 2011. A marzo del 2013 ne abbiamo stretto uno simile a Roma, per usare le infrastrutture dell’illuminazione – continua -. Abbiamo intenzione di fare lo stesso in tutte le città in cui sia possibile: siamo in contatto con diverse pubbliche amministrazioni. La disponibilità passa da diversi vincoli tecnici”. “Anche le norme sulla semplificazione burocratica dei permessi sono già buone, in Italia”. Certo, però, nella pratica possono sorgere alcune difficoltà: “Poiché ci sono sovrapposizioni di competenze tra Mise, Agcom e l’utility, riguardo a chi deve sovraintendere al riutilizzo delle infrastrutture, a volte è difficile coordinarsi. Al momento sono i Comuni i più solerti ad avvisare gli operatori quando stanno per fare lavori per nuove infrastrutture, a cui li chiamano così a partecipare”.
Anche i tempi di rilascio dei permessi sono migliorati: “Adesso in genere 60 giorni, prima erano molto variabili, dai 45 ai 180”. Il problema può porsi quando gli operatori chiedono il permesso a fare minitrincee, “scavo innovativo che riduce del 50-65% i costi”. “Ancora il 30% di enti fa resistenza alle mini trincee. La fattibilità contrasta con eventuali regolamenti comunali per gli scavi e in questo caso ci tocca concordare una deroga. Nel 2012, su 100 km di fibra posata, abbiamo usato tecniche innovative su 70 km – dice Paggi -. Speriamo che il prossimo decreto attuativo del Crescita 2.0 stabilisca il diritto a usare sempre le mini trincee”.
Più negativa l’esperienza di Fastweb, secondo Giorgio Proietti, il responsabile Sviluppo Rete. “Un 20% di Comuni non rispetta la normativa sui permessi”, dice. I problemi? “I tempi delle risposte, la complessità burocratica e le modalità di ripristino imposte”. Caso tipico: “L’ente che ci dice: puoi scavare, ma poi il ripristino non farlo tu ma lo devi lasciar fare alle nostre strutture, a questi prezzi. Che però puntualmente sono molto più alti del mercato. Abbiamo avuto questi casi su Torino, Genova, Livorno e abbiamo perso mesi in contrattazioni”.
Peggio ancora va con gli enti diversi dai Comuni, riferisce Fastweb: “Autostrade, ferrovie, la stessa Anas, che a volte impongono tempi e condizioni incompatibili con l’attività di mercato: attese di 8 mesi per avere l’autorizzazione”. Ci sono poi casi particolari: “In alcune zone ci sono infrastrutture di Telecom Italia che potremmo usare, ma sono posate su un terreno il cui proprietario – ente pubblico o concessionaria – ci nega il permesso”. “È capitato in via Vittorio Veneto a Roma: ci abbiamo messo due anni, e a costi maggiorati, per posare un cavo per conto del ministero della Difesa, nel 2012”.
“La legge già in realtà ci consente questo utilizzo. Ma i proprietari del terreno accampano la scusa della sicurezza per tirarla per le lunghe. Secondo noi è un pretesto e in realtà magari stanno contrattando la concessione con Telecom Italia e facendo ostruzione sperano di ottenere un accordo migliore. Oppure semplicemente i funzionari pubblici vogliono evitare grane di vario tipo, per esempio le lamentele dei cittadini”. “Certo, potremmo fare un’azione legale e magari la vinceremmo. Ma dopo anni. Ecco perché al momento preferiamo cercare un accordo con l’ente”. Ma comunque ne vengono conti e tempi maggiori rispetto a quanto già le norme concederebbero agli operatori.
La soluzione? “Con Asstel abbiamo presentato al Mise una proposta di regolamento che meglio specifica gli elementi tecnici del processo autorizzativo e le condizioni che permettono di utilizzare tecniche a basso impatto. Se la normativa è dettagliata diventa un’alternativa completa all’eventuale regolamento scavi che hanno i Comuni. I quali quindi dovranno alla fine adeguarsi per forza”.