PUNTI VISTA

Colli Franzone: “Agenda digitale, è ora di fare lobby”

Il direttore di Netics: “Serve un piano industriale ad hoc. Associazioni di categoria e player facciano pressing sulle istituzioni”

Pubblicato il 27 Apr 2013

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In attesa che un nuovo Governo ricominci a lavorare, vale la pena ricordare che intorno ai temi dell’Agenda Digitale si muovono oltre centomila aziende che danno lavoro a più di seicentomila addetti, 70 miliardi di Euro, meno di mezzo punto di Pil. Poco, si potrebbe dire: poco, e quindi scarso interesse da parte di coloro i quali andranno a manovrare nella stanza dei bottoni prossima ventura.
Ma c’è un ma che deriva da una considerazione banale finché si vuole ma non smentibile: stiamo parlando delle centomila aziende e dei seicentomila lavoratori che mandano avanti il 100% del Pil, a meno che non si riesca a immaginare un Paese che torna alla penna d’oca e all’abaco. Cosa succede quando l’IT non funziona, lo si può leggere in prima pagina sui quotidiani e vedere nei telegiornali: le proteste dei pensionati quando si ferma il “cervellone” di Poste, dei pendolari di Trenord qualche mese fa, dei viaggiatori sulla Metro torinese qualche giorno fa. Cosa succede quando l’IT funziona bene, lo possiamo constatare leggendo le ricerche che hanno misurato il ritorno degli investimenti Ict in termini di crescita di ricchezza e benessere nei Paesi sul podio digitale.

Ancora freschi di campagna elettorale, teniamo in evidenza le pagine dei programmi elettorali che parlavano di Agenda Digitale certi che saranno trasformate in misure concrete, interventi puntuali. Basta che non riaffiori il ritornello cui ci aveva abituato la Ragioneria Generale dello Stato: “non ci sono soldi”, e che si mandi in pensione il teorema dell’innovazione a costo zero. Avremo (lo avremo?) un ministro o un vice premier con delega per l’Agenda; abbiamo l’Agenzia; abbiamo una pressione da parte dell’elettorato, verso la semplificazione e la razionalizzazione della PA.
Abbiamo un’infrastruttura IT della PA da rivedere in logica cloud; una sanità da digitalizzare, superando le sperimentazioni permanenti e le macchie di leopardo; una scuola da trasformare.

Le risorse per gli investimenti si trovano quando il commitment è alto. Tutto semplice? Purtroppo, no. Perché il sistema dell’offerta è sotto stress.
Stress finanziario, dovuto all’ormai annoso problema dei ritardi di pagamento della PA cui si accompagna il credit crunch che sta mettendo all’angolo la “base della piramide” fatta da decine di migliaia di piccole e piccolissime imprese. Stress tecnologico, dovuto alla sparizione della parola “investimento” dal lessico quotidiano aziendale. Inoltre, moltissime branch italiane delle multinazionali IT sono messe in ulteriore difficoltà in quanto le rispettive corporate faticano a comprendere le logiche di un Paese complicato e poco trasparente come il nostro e, conseguentemente, a investire.
Infine, il grande problema della frammentazione dell’offerta in decine di migliaia di piccole aziende che non riescono ad aggregarsi in forme più o meno stabili per darsi una massa critica capace di incrementare il loro potenziale di competition su un mercato le cui barriere all’ingresso si alzano ogni giorno di più. Per ultima, la mancanza di un’azione di lobby capace di lavorare non tanto sul “day by day” quanto piuttosto su un piano di forte promozione precompetitiva di una vision di Italia Digitale, affiancandosi ai policy maker in modo “sano”. Non è un caso se alcuni partiti e movimenti politici, in campagna elettorale, hanno parlato della necessità di affiancare alle norme sull’Agenda Digitale un insieme di “piani industriali di settore”: l’infrastruttura di rete, il G-Cloud, la sanità, la giustizia, la scuola, e così via.
Difficile pensare che questi piani industriali (e, soprattutto, i piani economico-finanziari per gli investimenti da avviare) possano essere scritti da una sola mano. Spetta alle associazioni di categoria, e alle lobbies, il compito di affiancare l’Agenzia per l’Italia Digitale in questo non semplice lavoro. Il premio in palio è un Paese moderno, trasparente, efficiente. Il castigo in caso di insuccesso, è la retrocessione in B. E non sarà facile, tornare in A.

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