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Manifatturiero, l’Italia batte la Germania per macchinari avanzati e investimenti Ict

È quanto emerge dal report sull’analisi dei settori industriali di Intesa Sanpaolo. L’export supererà per la prima volta nella storia la soglia del 50% del fatturato. Secondo la Rome Business School il nostro Paese si posiziona all’ottavo posto nella classifica delle imprese che operano nel mercato dell’intelligenza artificiale. L’AI potrebbe impattare circa 2 milioni di posti di lavoro entro il 2030: servono più competenze

Pubblicato il 23 Mag 2023

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La manifattura italiana difende i suoi ritmi di crescita grazie allIct e alla digitalizzazione: negli ultimi anni, tutt’altro che facili per l’industria, l’aumento degli acquisti di macchinari avanzati e degli investimenti digitali (Ict e immateriali, che a fine 2022 risultavano a +7,8% superiori al livello pre-Covid, e pari al 19,2% sul totale degli investimenti), testimonia la grande attenzione delle imprese al progresso tecnologico, in chiave digitale, ambientale e di efficienza nell’uso delle risorse. È quanto emerge dalla 103mo rapporto analisi dei Settori industriali realizzato dalla direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo in collaborazione con Prometeia (SCARICA QUI IL REPORT COMPLETO).

“Gli investimenti continueranno a rappresentare il principale volàno della crescita in chiave digitale, ambientale e di efficienza nell’uso delle risorse”, afferma Gregorio De Felice, Chief economist and Head of research di Intesa Sanpaolo. “Negli ultimi anni, si è assistito a una significativa crescita degli acquisti di macchinari avanzati e degli investimenti digitali in misura superiore a quanto registrato in Germania. Altrettanto importanti saranno i progetti nazionali destinati alla riconversione energetica, la decarbonizzazione della produzione di elettricità e la diversificazione delle fonti di energia”.

La resilienza della manifattura italiana 

La fase di rallentamento dell’attività produttiva sopraggiunta nella seconda metà dello scorso anno, in concomitanza con la crisi energetica, non ha impedito al manifatturiero italiano di archiviare il 2022 – rileva lo studio – con un aumento del 2,6% dei livelli di attività e del 15,2% del fatturato a prezzi correnti, che ha superato i 1.160 miliardi di euro, sostenuto da una crescita dei prezzi del 12,3% in media d’anno.

Il fatturato manifatturiero italiano nel 2023, a prezzi correnti, si dirige verso un nuovo record oltre i 1.170 miliardi di euro, in crescita tendenziale dell’1% e circa 260 miliardi di euro aggiuntivi rispetto al 2019. Il fatturato a prezzi costanti, invece, andrà incontro a una stabilizzazione (+0,4%), che consentirà di consolidare i significativi progressi del biennio precedente (+9,1% la crescita media annua a prezzi costanti nel 2021-22).

La distensione del contesto operativo interno e internazionale, attesa a partire dal 2024, permetterà al manifatturiero italiano – prosegue l’analisi di Intesa Sanpaolo e Prometeia – di riposizionarsi su ritmi di crescita più dinamici di quelli degli ultimi decenni, dell’1,3% medio annuo nel periodo 2024-27 in termini di fatturato a prezzi costanti (2% a prezzi correnti).

Il volano del Pnrr e degli investimenti Ict

Gli investimenti continueranno a rappresentare il principale volano della crescita, sia quelli pubblici attivati dal Pnrr sia quelli privati, indispensabili per proseguire nel processo di rafforzamento competitivo.  

Cruciale sarà il contributo dell’export: “Supererà, per la prima volta nella storia economica italiana, la soglia del 50% del fatturato manifatturiero”, afferma De Felice. “Grazie alla buona capacità dell’industria italiana di servire nicchie a elevato valore aggiunto, l’avanzo commerciale continuerà a crescere sino a conseguire un nuovo record, superando i 110 miliardi di euro nel 2027″.

Rilevante, infine, il tema di un “efficace passaggio di competenze: nel 2022 la quota di occupati under 40 nell’industria manifatturiera italiana è scesa al 34,8%, dal 51,1% del 2008, a fronte di una media Ue27 del 39,6%”, conclude De Felice.

La crescita del mercato dell’Ai

Molte sono le competenze che serviranno neIl’ambito dell’intelligenza artificiale, un mercato che in Italia è cresciuto del +92% negli ultimi 3 anni, passando da 260 milioni di euro agli attuali500 milioni, e si stima che arriverà ai 700 milioni entro il 2025.  Il 50 % degli imprenditori oggi si interessa alle nuove tecnologie, mentre i lavoratori (73%) ne temono le conseguenze. È quanto emerge dall’ultima ricerca di Rome Business School,“Digitalizzazione, big data e Ai in Italia. Etica digitale e uso dei dati” (QUI il report completo), a cura di Aldo Pigoli, esperto di geopolitica e intelligence competitiva, Valentino Megale, docente dell’International Mba, William Carbone, Program director dell’International online master in Artificial intelligence, e Valerio Mancini, direttore del Centro di ricerca di Rome Business School.

A gennaio 2023 in Europa operano circa 130 startup nel campo specifico della generative intelligence: il Regno Unito in testa con 55 startup stimate, l’Italia si posiziona ottava (Sifted, 2023).  

L’innovazione nelle imprese italiane

Nell’integrazione delle tecnologie digitali, l’Italia si posiziona all’8º posto nell’Ue, con la maggior parte delle pmi italiane che ha un livello base di intensità digitale (60%), superando la media Ue del 55%. La diffusione di tecnologie più complesse come i big data e l’intelligenza artificiale è ancora limitata: il 40% delle pmi non ha figure professionali ad hoc che si occupino di analisi di dati.  

La spinta verso l’adozione di queste tecnologie è forte. In Lombardia e in Lazio si trova la maggior quantità di pmi che usano l’Ai, dove si è concentrato oltre il 45% della spesa in information e communication technology italiana nel 2021; seguite da Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte (29%). Gli autori evidenziano anche come Puglia e Sicilia si stanno dimostrando particolarmente dinamiche (con quasi il 4% ciascuna), dando un apporto significativo alla crescita del comparto e allo sviluppo del Mezzogiorno italiano (le altre regioni superano a malapena l’1%). 

Analizzando l’uso dell’Ai per settore, nel 2021 oltre l’80% delle aziende manifatturiere italiane utilizzava già macchine e sistemi basati sull’Ai per automatizzare attività pericolose e migliorare la qualità dei prodotti; nell’agroalimentare, per l’Osservatorio Smart Agrifood, l’utilizzo di strumenti smart nel 2022 è aumentato del 15%.  

Il ruolo delle competenze digitali

Ora l’Italia deve spingere su altri indicatori del livello di digitalizzazione: siamo al 17º posto su 27 Stati membri per quanto riguarda la trasformazione digitale. La situazione è preoccupante per il capitale umano: l’Italia si posiziona al 25º posto in termini di competenze digitali, con solo il 46% della popolazione che possiede competenze di base. Solo l’1,4% dei laureati italiani sceglie discipline Ict, il dato più basso nell’Ue. 

Sono dati che preoccupano ancor di più se affiancati a quanto rilevato alo studio di Rome Business School: il progressivo sviluppo e uso dell’Ai in Italia potrebbe impattare circa 2 milioni di posti di lavoro entro il 2030, il numero più alto in Europa, dopo Germania e Francia.

“L’Italia sta facendo dei passi da gigante per essere protagonista dell’era del digitale: da ingenti investimenti in nuovi progetti, alla ricerca e adozione di soluzioni digitali sia nelle grandi aziende che nelle pmi. Ma serve offrire una formazione specializzata, ulteriori investimenti e una maggior collaborazione tra industria, accademia, e governo, non solo per sviluppare nuove tecnologie, ma anche per proteggere la privacy delle persone e rispettare la loro dignità”, affermano gli autori.

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