A Bruxelles l’attesa comincia a farsi febbrile. La giostra delle indiscrezioni, in concomitanza, gira sempre più svelta. Si surriscalda via via che il D-Day si avvicina. Nel mese di luglio – come annuncia in esclusiva al nostro giornale il commissario Ue all’Agenda digitale Neelie Kroes – sarà convocata la conferenza stampa con cui, senza perplessità alcuna, si gioca il prestigio di un intero mandato. Il Commissario sarà infatti chiamato a ragguagliare su come intende rimodellare il pulviscolare universo delle tlc europee all’immagine di un autentico mercato unico. In breve, dovrà illustrare i provvedimenti, e lo scadenziario, con cui l’esecutivo comunitario proverà una volta per tutte a sradicare tutte quelle barriere che nel Vecchio Continente continuano a dividere il settore delle comunicazioni elettroniche su linee nazionali: in 27 mercati, in parte comunicanti, talvolta armonizzati, ma nei fatti autonomi.
Si tratterà di un semplice assaggio del pacchetto vero e proprio che nella sua interezza sarà presentato al vaglio dei governi durante il Consiglio europeo di ottobre. Ma dovrebbe già racchiuderne tutte le misure salienti. Tanta fretta si spiega in due maniere. Nel disegnare il sentiero regolamentare che dovrebbe condurre alla meta del mercato unico delle Tlc, o più in generale a completare quello del digitale, la Commissione si muove su un campo minato, sotto il tiro di una selva di veti pronti a scattare al primo passo falso. Lo sa bene Viviane Reding (dalla quale la Kroes ha ereditato il portafoglio), che tentò il colpo nel 2007, salvo vedere la propria proposta impallinata dai paesi membri con l’appoggio dell’Europarlamento. E allora tanto vale uscire allo scoperto in largo anticipo sul vertice europeo d’autunno per prendere la temperatura degli umori in campo. “Per raccogliere feedback”, nelle parole di Roberto Viola, vicedirettore della Dg Connect della Commissione. Così da disporre di un sufficiente margine di tempo per emendare le misure giudicate irricevibili dalle cancellerie (e ve ne saranno di certo).
Fin qui le ragioni tattiche. Ma ve ne sono anche di ordine strategico, e sono ben più pregnanti. “Accelerare i nostri sforzi – spiega il Commissario – è essenziale per il settore e per l’economia”. Tradotto, significa che la spinta all’integrazione paneuropea è guardata da Bruxelles come l’unica e forse estrema ratio per rianimare un comparto sempre più in apnea, in particolare in termini d’innovazione e diffusione delle reti di nuova generazione. Una diagnosi, quest’ultima, condivisa da una larga fetta dell’industria. Il chairman di Etno (l’associazione europea degl’incumbent) Luigi Gambardella lo dice senza usare sottigliezze diplomatiche: “Una delle principali ragioni dietro il calo dei ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche è proprio la frammentazione del mercato”. In effetti, stando alle previsioni della Commissione, l’integrazione paneuropea del digitale libererebbe qualcosa come 680 miliardi di euro di risorse supplementari: attorno allo 0,8 % del Pil comunitario.
Di questo, probabilmente, ne sono coscienti anche gli stati membri. Proprio loro, nelle conclusioni del Consiglio Ue di marzo, hanno dato esplicito mandato alla Commissione di studiare “misure concrete per realizzare il prima possibile un mercato unico delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione”.
Sui particolari del pacchetto, in ogni caso, vige il riserbo più assoluto. I servizi comunitari vi stanno lavorando senza sosta, ripartiti in differenti task force tematiche. Si vocifera che il piatto forte del menu potrebbe essere una sorta di sistema di mutuo riconoscimento su scala europea che permetterebbe a qualsiasi operatore di entrare in un altro mercato nazionale senza il bisogno di aprirvi una sussidiaria e con specifiche garanzie per l’accesso all’ultimo miglio. Sarebbe una rivoluzione. Ma è impossibile stabilire quanto ci sia di vero in quello che sul fondo rimane un semplice rumor. “Semplici speculazioni”, come le ha definite di recente lo stesso Viola, invitando giornalisti e addetti ai lavori a non darvi credito.
Le altre misure di rilievo, sostengono alcuni, potrebbero interessare spettro, regolatore unico e roaming. Nel primo caso, se è da escludere un regime unico di licenze, si starebbe almeno esplorando l’opzione di un riconoscimento reciproco delle stesse. Controversissima è invece la questione del super-regolatore europeo, che avrebbe ben poche chance di passare per la vivace opposizione di molti Stati membri e degli stessi garanti nazionali. Sul roaming, si profila invece una proposta solo riguardo il traffico dati lasciando in panchina il voice. Mentre resta avvolta nel mistero la veste giuridica che verrebbe conferita al piano. Anche se Viola ha chiarito che non si tratterà di una semplice “roadmap”, bensì di misure “concrete”. Il che autorizza a pronosticare che la Commissione potrebbe muoversi sin da subito attraverso le vie legislative o regolamentari ordinarie (quindi direttive, regolamenti o raccomandazioni), piuttosto che puntare su un libro bianco o peggio ancora una semplice dichiarazione d’intenti.
Dettagli a parte, la verità è che le potenziali implicazioni della proposta sul mercato unico accendono interpretazioni molto distanti a seconda degli attori in gioco. Gli incumbent, ad esempio, la leggono come un via libera a intraprendere la strada del consolidamento (sebbene non sia chiaro se per consolidamento intendano quello domestico o paneuropeo). Etno ha incaricato il Boston Consulting Group di elaborare un set di proposte che verranno a breve presentate alla stessa Commissione. Gli Olo restano sul chi vive. Su tutti si erge l’ombra dell’Antitrust europeo. Quel Joaquin Almunia che non cessa di ricordare come, mercato unico o non mercato unico, la disciplina comunitaria sulla concorrenza e i suoi paletti restano sacrosanti. Un mantra che sia in pubblico sia in privato è brandito con toni sempre più risoluti. E tutti a Bruxelles sanno che senza il placet del Commissario alla Concorrenza la proposta della Kroes potrebbe naufragare prima ancora di approdare al tavolo negoziale del Consiglio.