I RUMORS

5G, la Ue verso lo stop a Huawei

Stando a indiscrezioni la Commissione europea starebbe valutando di imporre il divieto di utilizzare le tecnologie dell’azienda cinese nell’ambito delle nuove reti a banda ultralarga mobile. E non sarebbe l’unica: in ballo una serie di aziende extra-Ue considerate “pericolose” per la sicurezza

Pubblicato il 08 Giu 2023

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A Bruxelles si sta prendendo in considerazione la prospettiva di vietare agli stati membri dell’Unione europea il ricorso a società che potrebbero mettere a rischio la sicurezza delle reti di telecomunicazione di nuova generazione: tra queste ci sarebbe Huawei.

Il dibattito in seno alla Commissione

Nello specifico, secondo fonti vicine al dossier citate dal Financial Times, la Commissione europea starebbe valutando l’introduzione di un divieto obbligatorio per i Paesi membri di utilizzare le tecnologie offerte da Huawei per lo sviluppo e il lancio delle reti 5G. Le raccomandazioni formulate da Bruxelles nel 2020 per tutelare le infrastrutture critiche dai fornitori considerati “ad alto rischio” come il colosso cinese sono state recepite solo da un terzo dei Ventisette, fanno notare le stesse fonti. Il commissario Ue, Thierry Breton, ha pertanto ricordato ai governi “l’urgenza di agire per non creare gravi vulnerabilità” alla “sicurezza collettiva”. All’interno dell’Unione europea, infatti, soltanto Danimarca, Svezia, Estonia, Lettonia e Lituania hanno bandito il gruppo cinese dall’infrastruttura nazionale 5G. La notizia pubblicata dal quotidiano britannico non è stata né smentita né confermata.

La questione sarebbe stata posta da Breton ai ministri delle Tlc nell’ultima riunione del Consiglio. Secondo il commissario francese il fatto che meno di un terzo degli stati abbia escluso la presenza di Huawei evidenzia un problema di sicurezza collettiva. La Ue sta cercando di definire un percorso di relazioni con la Cina per non adeguarsi pedissequamente alla linea americana e purtuttavia stringendo le corde della difesa della “sicurezza economica” nazionale e collettiva in Europa.

Il tema Cina è argomento delicatissimo: la Ue non ha ancora definito come sostanziare la strategia del “de-risking”, la riduzione del rischio di dipendenza dalla Cina, senza correre il rischio di “de-coupling”, una separazione dalla Cina obiettivo ritenuto tanto impossibile quanto controproducente per tutti.

Le ipotesi sul tavolo

Il fatto che la prospettiva di uno stop a Huawei per le reti 5G faccia parte delle discussioni comunitarie non significa che questa sarà effettivamente la strada presa. Secondo alcuni la questione è stata sollevata come leva per applicare le raccomandazioni comunitarie non vincolanti ma vennero comunque concordate dal gruppo di cooperazione composto dalle autorità degli stati, dalla Commissione e dall’Agenzia europea per ma cybersicurezza.

Secondo Breton il processo di applicazione delle raccomandazioni per attenuare i rischi tecnologici e politici derivanti dal 5G e dai servizi offerti da Huawei è troppo lento. Alcune idee sul modo in cui procedere le ha avanzate la presidente della Commissione Ursula von der Leyen un paio di mesi fa a Strasburgo: allora disse che la Ue “deve diventare più audace nell’uso degli attuali strumenti di difesa commerciale per affrontare i problemi di sicurezza e le distorsioni economiche. Quindi dobbiamo essere più assertivi nell’usarli quando ne abbiamo bisogno”. Ma occorrono anche nuovi strumenti: Bruxelles sta lavorando sul modo in cui trattare alcuni “settori critici” innanzitutto quelli i cui prodotti e servizi possono essere impiegati in maniera “duale”, cioè per il settore civile quanto per il settore militare.

Ma non solo. Secondo von der Leyen occorre “garantire che il capitale delle società Ue, la loro competenza, la loro conoscenza non siano utilizzate per migliorare le capacità militari e di intelligence di coloro che sono anche i nostri rivali sistemici. Per cui va verificato dove ci sono lacune nella nostra ‘cassetta degli attrezzi’ che consentono la fuoriuscita di tecnologie emergenti e sensibili attraverso investimenti in altri paesi”. Si tratta appunto di uno strumento per gli investimenti in uscita “per un numero molto ridotto ma di tecnologie molto sensibili”.

Un work in progress estremamente delicato

L’azione per un nuovo strumento di sicurezza economica è parallela agli interventi più classici per la Ue. Per esempio, un accordo sul regolamento per proteggersi dalla coercizione economica da parte di paesi terzi è stato raggiunto già a fine marzo. Tra le misure che potrebbero essere applicate a un paese terzo in risposta alla coercizione economica ci sono restrizioni commerciali, per esempio sotto forma di dazi doganali maggiorati, di licenze di importazione o di esportazione, o restrizioni nel settore dei servizi o degli appalti pubblici. L’obiettivo è dissuadere i paesi terzi, a partire dalla Cina, dall’attaccare la Ue e i suoi stati membri con la coercizione economica mediante misure che incidono sugli scambi o sugli investimenti.

Su modalità e fini della strategia europea per la sicurezza economica sono in corso discussioni estese. Da un lato ci sono visioni diverse nella stessa Commissione: Breton interpreta l’”anima” più interventista, la coppia Dombvroskis-Vestager quella meno propensa a procedere a colpi di ban, che mette l’accento sui rischi di frapporre ostacoli non giustificati dal punto di vista economico.

La Ue, come detto, ha scelto la strada del “de-risking” alternativa al “de-coupling”, peraltro non perseguito neppure dagli Stati Uniti. È un “work in progress” ancora non completamente definito. La sicurezza economica europea rientra in quello che il responsabile dei rapporti esteri Ue Josep Borrell chiama “approccio multiforme nei confronti della Cina: cooperazione, concorrenza e rivalità continueranno a essere al centro della politica della Ue nei confronti della Cina, anche se la ponderazione tra questi diversi elementi può variare a seconda del comportamento della stessa Cina. Ed è ovvio che negli ultimi anni l’aspetto della rivalità è diventato più importante”. Contrariamente all’impostazione americana, Borrell ha recentemente indicato che “la Ue, potenza di pace, è stata costruita sull’idea di una prosperità condivisa, non ha alcuna intenzione di bloccare la crescente potenza dei paesi emergenti. Il desiderio non è ostacolare la loro comparsa, ma di garantire che la loro ascesa non danneggi i nostri interessi, non minacci i nostri valori o non metta a repentaglio l’ordine internazionale basato su regole”.

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