In Italia si preannuncia un nuovo ciclo per l’economia digitale: nel 2022 il mercato è cresciuto del 2,4%, per un valore complessivo di 77,1 miliardi di euro, e nei prossimi anni è previsto un impatto ancora più dirompente delle tecnologie digitali che porterà la crescita del mercato digitale a livelli superiori. Intanto, nel 2023 l’aumento sarà del 3,1% e nel 2024 il mercato metterà a segno un +4,3%, tornando a registrare tassi di crescita superiori a quello dell’economia nel suo complesso. È quanto si legge nel nuovo studio sul “Digitale in Italia” di Anitec-Assinform.
“La trasformazione digitale si conferma una leva economica significativa e il suo ruolo nella ripresa economica del Paese è stato e sarà sostanziale, soprattutto adesso. Dobbiamo spingere su interventi anticiclici, portando avanti le riforme e le politiche pubbliche che consentano all’innovazione di fiorire, in un contesto competitivo, dando spazio ai giovani e ai loro talenti”, ha detto Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform, l’associazione di Confindustria che raggruppa le principali aziende dell’Ict, commentando la pubblicazione annuale sull’andamento del digitale in Italia, condotta in collaborazione con NetConsulting cube e presentata a Roma.
Il mercato digitale in Italia vale 77 miliardi
Il mercato digitale italiano ha consolidato nel 2022 una crescita del 2,4%, con un valore complessivo di 77,1 miliardi di euro, si legge nel report. L’aumento più rilevante ha riguardato i servizi Ict (+8,5% e 14,8 miliardi di euro), sostenuto principalmente dai servizi di cloud computing e di cybersecurity. Andamenti particolarmente positivi si sono avuti nel segmento dei contenuti e pubblicità digitali (+6,3% e 14,5 miliardi di euro) e in quello del software e soluzioni Ict (+6,2% e 8,6 miliardi di euro).
Il mercato relativo a dispositivi e sistemi ha evidenziato una netta inversione di tendenza dopo la crescita consistente registrata nel 2021. Infatti, nel corso del 2022 ha subito un calo dell’1% (20,9 miliardi di euro). È infine proseguito il trend negativo dei servizi di rete tlc (-2,7%, 18,2 miliardi di euro).
Se il progresso del mercato digitale è in parte frenato dalle componenti tecnologiche più mature, sarà invece trainato dai prodotti e servizi più innovativi, ovvero digital enabler e transformer, il cui incremento medio annuo nel periodo 2022-2026 dovrebbe attestarsi sul 12,8%.
Il traino dei digital enabler e transformer
“La combinazione di più tecnologie digitali e di una maggiore velocità dell’innovazione rispetto al passato sta disegnando un’industria completamente diversa, che vedrà filiere e supply chain sempre più connesse e circolari. Fondamentale è il ruolo abilitante dei digital enabler nel trasformare produzione e processi, nel creare nuovi modelli di business, sfide competitive, come pure nuovi mercati. Non a caso stiamo assistendo a dinamiche a doppia cifra nella crescita di digital enabler e transformer: dal cloud computing, alle piattaforme di cybersecurity, alle soluzioni di big data management, essenziali per organizzare e gestire l’architettura del patrimonio informativo di imprese e istituzioni pubbliche e pertanto presupposto per l’adozione di strumenti per l’analisi evoluta e la valorizzazione dei dati, tra cui spiccano soluzioni di intelligenza artificiale e blockchain”, ha affermato Gay.
“Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da eventi eccezionali e inattesi: la pandemia e lo scoppio del conflitto in Ucraina hanno portato con sé, da un lato, misure straordinarie come il Next generation EU, dall’altro l’aumento dei costi dei prodotti energetici, la crescita dell’inflazione e il rialzo dei tassi. Un contesto complesso al quale ogni giorno famiglie e imprese fanno fronte erodendo la voce investimenti nei bilanci. Nonostante ciò, il 2022 ci consegna un mercato digitale in aumento, che ha raggiunto un valore superiore a 77 miliardi di euro“, ha evidenziato ancora Gay.
L’andamento per tecnologie e per settori
Il cloud prosegue il trend di crescita (+24% e 5,2 miliardi di euro) e si conferma tra le principali tecnologie che abilitano la trasformazione digitale e l’innovazione di modelli di business. Sono cresciuti con tassi molto elevati anche l’intelligenza artificiale/cognitive (+32,4% e 435 milioni di euro) e la blockchain (+28,1% e 42,5 milioni di euro). In questi due casi, soprattutto nel secondo, i valori dei mercati risultano ancora di dimensioni molto contenute, tuttavia, grazie ad investimenti diffusi in tutti i settori, il loro trend rimarrà molto sostenuto.
A doppia cifra sono cresciute anche le soluzioni di big data management (+14,1% e 1,5 miliardi di euro), essenziali per organizzare e gestire l’architettura del patrimonio informativo di imprese e istituzioni pubbliche, e le piattaforme di cybersecurity (+14% e 1,6 miliardi di euro), per garantire la protezione di dati e asset tecnologici a fronte della crescita esponenziale delle minacce cyber.
Le tecnologie digitali hanno acquisito un ruolo strategico divenendo il fulcro dei piani di sviluppo delle principali aziende di ogni settore. Questo si è tradotto in una crescita della spesa in particolare nella Pubblica amministrazione, centrale (+10,5% e 2,5 miliardi di euro) e locale (+9,6% e 1,5 miliardi di euro), e nella sanità (10,1% e 2 miliardi di euro) in linea con quanto rilevato lo scorso anno.
Le banche (+7% e 9,2 miliardi di euro) hanno sostenuto importanti investimenti rivolti alla digitalizzazione della relazione con i clienti e all’evoluzione architetturale. Nelle assicurazioni (+6,5% e 2,5 miliardi di euro) le difficoltà economiche sono state affrontate con programmi di innovazione, nuove partnership e con progressi tecnologici rilevanti.
L’industria (+4,4% e 8,9 miliardi di euro) ha subito un rallentamento della crescita per effetto del conflitto russo-ucraino e in particolare dall’aumento dei prezzi energetici e delle materie prime.
La spesa del settore Energy & utility prosegue il trend in crescita (+4,9% e 2,2 miliardi di euro), sostenuto dall’adozione di tecnologie abilitanti in ottica smart energy.
Positivi sono stati anche gli andamenti dei settori Difesa (+6,7% e 1,2 miliardi di euro), distribuzione e servizi (+3% e 4,7 miliardi di euro) e travel & transportation (+3,6% e 2,6 miliardi di euro). Meno positivo, infine, l’andamento di telecomunicazioni & media (+0,9% e 9,4 miliardi di euro).
Le sfide: competenze e Pmi
Pur se la tendenza positiva del mercato digitale è chiara, permangono criticità, ha evidenziato il presidente di Anitec-Assinform. Primi fra tutti – ha detto Gay – “la carenza di competenze digitali e l’eterogeneità nella diffusione delle tecnologie tra classi dimensionali di impresa e tra territori. La sfida per la digitalizzazione delle pmi è agli inizi ma il piano nazionale di transizione 4.0 e il Pnrr costituiscono in tal senso delle opportunità significative. Proprio l’utilizzo delle risorse stanziate dal Pnrr, insieme al contesto economico internazionale, rappresentano due fattori significativi che influenzeranno l’immediato futuro del mercato digitale”
Il report di Anitec-Assinform evidenzia che il trend di crescita degli investimenti in digitale delle piccole e medie imprese italiane permane più lento rispetto a quanto registrato dalle grandi imprese. Nel 2022 c’è stato un incremento del 2,5% per le piccole imprese, del 4,1% per le medie e del 5,9% per le grandi, a conferma della correlazione tra dimensioni aziendali e spesa digitale: più i contesti organizzativi aumentano di dimensioni, maggiore è la spesa destinata alla digitalizzazione.
L’analisi geografica del mercato digitale italiano identifica invece nelle Regioni del Nord Ovest e del Centro le aree caratterizzate da una maggiore capacità di spesa in tecnologia, rappresentando quasi il 62% della spesa complessiva. A livello nazionale, nel 2023 il mercato è previsto comunque ancora in crescita (+3,1%).
Il futuro è in crescita. Ma serve una politica industriale
Le stime relative ai tre anni successivi (2024-2025-2026) sono orientate a una crescita ancora più sostenuta e si basano sull’ipotesi di un minore impatto dell’inflazione e su un maggiore impiego delle risorse economiche messe a disposizione dal Pnrr per la digitalizzazione. Si prevede pertanto una crescita media annua del mercato digitale nel periodo 2022-2026 del 4,5%, fino a raggiungere quasi i 92 miliardi di euro nel 2026.
“Un uso efficiente dei fondi messi a disposizione dal Pnrr è il primo passo in questa direzione”, hai concluso Gay. “Ma c’è bisogno di una politica industriale che promuova la competitività delle imprese, che aumenti la loro produttività e rafforzi la collaborazione all’interno della filiera. Inoltre, sono necessari interventi di regolazione pro-concorrenziali che spingano l’innovazione, sostengano la formazione del capitale umano e sostengano la collaborazione tra imprese per aumentare scala e durabilità degli investimenti. Sono queste le leve che possono consentire al mercato digitale di crescere, alle tecnologie di essere abilitatori della trasformazione, ai giovani di essere protagonisti del mondo di oggi e di quello che verrà”.
Bonomi: “Serve un piano per la Transizione 5.0”
Intervenendo con un videomessaggio all’evento, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha evidenziato la necessità di un piano 5.0. “Servirebbe, lo ripetiamo spesso, mettere in campo un grande piano di investimenti per la transizione 5.0 se vogliamo restare competitivi nei confronti dei due grandi poli che sono Usa e Cina”. In questo contesto di sfide nuove, le imprese non possono farcela da sole. Ecco perché serve applicare “senza tentennamenti” il Pnrr. “Il Piano va implementato senza tentennamenti, ma nel modo giusto nei prossimi giorni, non nei prossimi mesi. Siamo convinti che possiamo riuscirci”, ha sottolineato il numero di Confindustria.
Altro tema chiave per potenziare l’economia digitale è l’indipendenza sulle materie prime. “L’Europa, per la sua sicurezza e autonomia, deve muoversi unita sui temi dell’indipendenza energetica e dell’approvvigionamento delle materie prime – ha evidenziato Bonomi – La situazione geopolitica e le tensioni crescenti hanno dimostrato che l’Europa rischia di essere un gigante dai piedi di argilla se non affronta il tema dell’indipendenza energetica e della differenziazione dell’approvvigionamento delle materie prime”.
Valentini: “Le pmi non si siedano sugli allori”
“Abbiamo attraversato uno dei periodi storici più complessi e difficili, caratterizzato dalla pandemia, dall’interruzione delle catene logistiche, dall’aumento dei prezzi delle materie prime, da tensioni di ogni tipo sfociate nella guerra in Ucraina e nel rapporto molto difficile tra Usa e Cina per non citare gli effetti del cambiamento climatico. In questo contesto le piccole e medie imprese hanno dimostrato grande resilienza ma non dobbiamo sederci sugli allori perchè la situazione economica va monitorata”. Queste le parole del vice ministro delle Imprese e del Made in Italy Valentino Valentini, in un videomessaggio Anitec- Assinform.
In questo contesto, ha sottolineato, “il Mimit ha aiutato le nostre aziende con una serie di azioni e misure reattive” ma occorre andare oltre. Per questo uno degli obiettivi è “dare una visione più organica all’insieme degli incentivi fin qui adottati e inserire l’elemento digitel come centrale nella doppia transizione”.
Il governo intende poi “mantenere le misure che hanno avuto successo” a partire da “Transizione 4.0, che ha favorito 150 mila imprese con 24 miliardi” e “potenziare e finanziare le key enabling technologies, attraverso gli accordi per l’innovazione”.
La spinta del Pnrr
Le pmi italiane accelerano sulla digitalizzazione grazie al Pnrr. Secondo un report di Qonto il % ha già fatto ricorso agli incentivi previsti dal piano, dato che evidenzia un’importante crescita rispetto al 2022 (43%). Tra coloro i quali non hanno ancora fatto ricorso ai fondi, tuttavia, quasi il 70% ha intenzione di usufruirne nel corso del 2023. Per quanto riguarda gli impieghi dei fondi, l’82% ha dichiarato di utilizzare gli incentivi per investire nella digitalizzazione e innovazione tecnologica della propria impresa.
Solo il 35% delle Pmi intervistate ha dichiarato di aver utilizzato e di voler utilizzare i fondi come il React-Eu contro il caro bollette, che per l’Italia presenta una disponibilità di 14,4 miliardi. È interessante notare come la percentuale si alza tra le micro-imprese fino a 10 dipendenti (57%).
L’impegno verso la digitalizzazione implica però la disponibilità di risorse formate e competenti: il 66% dichiara infatti di avere necessità di profili con expertise specifiche per la propria azienda, ma oltre un’impresa su due (56,5%) riscontra difficoltà nel reperire questi stessi profili.
Infine il 43% degli intervistati dichiara di aver adottato o aver intenzione di adottare nel prossimo futuro tecnologie di Intelligenza Artificiale nella propria azienda.
Sul fronte fintech, il 77% delle imprese utilizza regolarmente almeno un’app per pagamenti, attività bancarie, investimenti, prestiti o altre attività finanziarie nella propria vita personale o professionale. Il 62% ha almeno un conto digital, tra queste quasi il 46% sono aziende molto giovani (meno di tre anni di vita) o startup Tra quelle che utilizzano solo soluzioni tradizionali, il 56% circa si dice pronta all’adozione di un conto digital.
Cresce la spesa IT negli studi professionali
Cresce la digitalizzazione tra commercialisti, avvocati & co. Nel 2022 avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro italiani hanno investito complessivamente 1,765 miliardi di euro in tecnologie digitali, una cifra in linea con il 2021(+0,4%). Ma, se nell’ultimo biennio la crisi energetica e quella delle supply chain, che ha colpito il mercato dei clienti, hanno avuto riverberi finanziari sull’ecosistema professionale, tanto da stabilizzarne gli investimenti, sono decisamente più rosee le previsioni per il 2023, in cui la spesa digitale dovrebbe segnare una crescita di circa il 7%, per arrivare a un valore stimato di poco meno di 1,9 miliardi di euro. studi professionali si presenta molto variegato. Le organizzazioni multidisciplinari continuano a investire mediamente più delle altre categorie, 25.060 euro, mentre la spesa digitale media dei consulenti del lavoro è pari a 11.950 euro, quella dei commercialisti 11.390 euro e quella degli avvocati 8.890 euro. Il 41% degli studi multidisciplinari investe più di 10.000 euro, contro il 34% dei consulenti del lavoro, il 23% dei commercialisti e solo l’11% degli avvocati. Quasi 7 studi legali su dieci investono massimo 3mila euro all’anno in tecnologie. La categoria legale è anche quella maggiormente in sofferenza per redditività, con solamente il 57% degli studi in positivo nel biennio 2021-2022, contro una media di oltre il 70% per le altre discipline. In questo contesto, gli studi professionali esprimono pessimismo per il futuro della professione: in quelli monodisciplinari gli ottimisti sono una minoranza (il 38% degli avvocati, il 41% dei commercialisti, il 45% dei consulenti del lavoro), in quelli multidisciplinari il 59%. E il principale pericolo per il futuro, secondo i professionisti è rappresentato dalle diverse piattaforme digitali, alcune delle quali ricorrono anche all’intelligenza artificiale, che potrebbero erogare servizi sostituendo le attività più standardizzate, evidenziato dal 40% degli avvocati, 37% di commercialisti e consulenti per il lavoro e 35% dei multidisciplinari. Il secondo futuro pericolo per i professionisti è non riuscire ad assumere personale per supportare il percorso di crescita dello studio, il terzo non riuscire a realizzare il passaggio generazionale. Per tutti, infatti, emerge la difficoltà ad attrarre e trattenere i giovani, principalmente a causa della bassa retribuzione (in particolare per il 56% degli avvocati e il 41% di commercialisti e multidisciplinari), della difficoltà a vedere percorsi di carriera strutturati (43% avvocati e 42% multidisciplinari) e dello scarso bilanciamento tra lavoro e vita privata (54% commercialisti, 50% multidisciplinari e 38% avvocati e consulenti del lavoro).
Nelle spese in tecnologia il mondo degli