IL REPORT MEDIOBANCA

Twin transition, pmi più ottimiste sul futuro grazie a investimenti in digital e green

Il 34% delle imprese che prevede una crescita del fatturato da qui ai prossimi due anni punterà sull’innovazione e sui progetti a basso impatto ambientale. Ulteriore sprint dalla valorizzazione del capitale umano e dalla riorganizzazione dei processi. Ma pesano gli ostacoli burocratici: sugli scudi l’accesso al credito e i tassi di interesse elevati

Pubblicato il 07 Lug 2023

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Sono più ottimiste le medie imprese che investono nella digitalizzazione e nel green. Il 34% di quelle che prevedono una crescita del fatturato nel periodo 2023-2025 punterà infatti sulla Duplice Transizione, contro il 30% che non lo farà. Una quota che sale al 46% quando gli investimenti in digitale e green si abbinano a quelli in formazione del Capitale Umano. In quest’ottica, circa la metà delle imprese si è attivata o intende attivarsi sui programmi del Pnrr, ma la burocrazia è il principale ostacolo per l’altra metà che non prevede di avvalersi del Piano.

È la fotografia scattata dal XXII Rapporto sulle medie imprese realizzato dall’Area Studi Mediobanca, Unioncamere e dal Centro Studi Tagliacarne, secondo cui tra il 2023 e il 2025 oltre il 60% delle medie imprese prevede di investire nella Duplice Transizione e, di queste, quasi il 25% lo farà per la prima volta.

Il freno del managament familiare

Le pmi con manager di famiglia hanno una minore propensione ad investire nella Duplice Transizione: il 30% non ha investito e non investirà contro il 21% delle imprese con manager esterni. Più bassa anche la quota delle medie imprese con manager di famiglia che avvieranno nel 2023-25 la Twin Transition (22% contro 28% nel caso delle aziende con manager esterni).

Twin Transition più efficace con il capitale umano e organizzativo

Secondo il report, il fatturato in tutti e tre gli anni del periodo 2023-25 cresce in modo limitato (dal 30% al 34%) se si passa dalle imprese che non investiranno nella Duplice Transizione a quelle che vi investiranno. Il vero salto di qualità avviene quando le imprese prevedono di investire sia nella Duplice Transizione che nel capitale umano (46%).

Cruciale anche il ruolo del capitale organizzativo. La quota di medie imprese che dichiara un aumento del fatturato in tutti e tre gli anni del periodo 2023-25 aumenta notevolmente passando da un 34% nel caso di quelle che investiranno nella Transizione Digitale ma non nel capitale organizzativo a un 43% di quelle che punteranno su entrambe le tipologie di investimento.

Capitale organizzativo significa infatti più efficienza. Le aziende che investiranno nella Transizione Digitale puntando anche sul Capitale Organizzativo saranno maggiormente guidate negli investimenti 4.0 da motivazioni legate alla volontà di aumentare l’efficienza interna aziendale (70% contro il 59%).

L’impatto delle tecnologie 4.0 sulle soft skills

Per oltre il 70% delle imprese l’adozione delle tecnologie  4.0 aiuta a migliorare le soft skills: pensiero critico, analitico, problem solving, flessibilità, collaborazione, da un lato, e apertura al cambiamento dall’altro. E la “combo” con il capitale organizzativo, il 4.0 migliora maggiormente le soft skills: tra le imprese che investono sia nella Transizione Digitale che nel capitale organizzativo è maggiore l’effetto del 4.0 sul miglioramento delle soft skills. Oltre l’80% dichiara un effetto positivo contro poco più del 70% di quelle che adottano tecnologie 4.0 ma senza investire sul capitale organizzativo.

Il Piano Transizione 4.0 tra capitale tecnico e conoscitivo

Il report accende i riflettori anche sui bonus del Piano Transizione 4.0. Il credito d’imposta più adottato è quello sugli investimenti in beni materiali al quale ha fatto ricorso l’81% delle aziende, a netta distanza da quello per le spese in ricerca e sviluppo (36%) e per i beni immateriali (25%). In termini di ampiezza, il 91% delle pmi ha sfruttato almeno una misura.

Rimuovere le barriere alla transizione digitale

Non è solo questione di risorse, ma anche di cultura: circa un terzo (31%) delle pmi che non investirà nella Transizione Digitale nel triennio 2023-25 ha indicato la presenza di importanti barriere economiche. Tra gli ostacoli principali la scarsità di risorse economiche, problemi di accesso al credito e tassi di interesse elevati.

Seguono a breve distanza le barriere culturali, come l’assenza di conoscenza degli effetti positivi delle tecnologie 4.0 sulla competitività dell’azienda o la mancanza di interesse da parte del management), rilevate per il 27% delle imprese.

Infine oltre 10 pmi su 100  considerano la mancanza di competenze digitali e l’eccesso di burocrazia come barriere per iniziare ad investire nella Transizione Digitale.

Il Digital Maturity Index di F5

Le Pmi sono dunque interessate ad investire in digitale. Ma qual è lo stato dell’arte? Secondo il Digital Maturity Index di F5, anche dopo un lungo percorso di investimenti nella trasformazione digitale, solo una minoranza di organizzazioni oggi può affermare di aver raggiunto un livello avanzato di maturità digitale.

Stando alle analisi condotte da F5, solo il 4% delle organizzazioni può essere classificato come “doer” digitale, ovvero in grado di agire nell’adottare e integrare la tecnologia al punto da renderla fondamentale (core) per la propria azienda, sfruttando dati e analisi per prendere decisioni, fornendo servizi digitali e sfruttando le tecnologie emergenti per entrare in nuovi mercati e ottenere un vantaggio competitivo. In alcuni settori chiave, tra cui i servizi finanziari, la sanità, l’istruzione e l’energy/utilities, nessuna organizzazione intervistata si è classificata in questa categoria.

Al contrario, la stragrande maggioranza (65%) si colloca nella fascia intermedia, ovvero in quella dei cosiddetti “dilettanti” del digitale (che hanno ottenuto punteggi elevati in alcune aree, ma non in modo costante nelle sei capacità chiave valutate). Il restante 31% è costituito dai “temporeggiatori”, che indugiano in tutte le dodici metriche utilizzate (tra cui la distribuzione dell’infrastruttura, l’app delivery e la sicurezza, la strategia di osservabilità, l’implementazione dell’automazione nelle aree chiave e l’uso della telemetria per sfruttare insight sui dati).

“In un momento in cui ci si concentra più che mai sulle potenzialità delle tecnologie dirompenti, la nostra analisi misura quanto le organizzazioni sono pronte a trarne concretamente vantaggio – spiega ha dichiarato Lori MacVittie, Distinguished Engineer di F5 – Il fatto che così poche organizzazioni siano digitalmente mature può sorprendere, ma in realtà sottolinea la complessità di questa transizione e l’estensione e la profondità delle capacità tecniche necessarie per avere successo. Anche dopo un lungo percorso di digital transformation, la maggior parte delle organizzazioni ha ancora molto da fare”.

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