Gli utenti digitali promuovono i servizi online dei Comuni con il 63% di giudizi positivi e solo l’11% negativi. A scattare la fotografia la rilevazione Fpa-ICity Club primavera 2023 a cui hanno partecipato 2.255 utenti digitali di 17 comuni capoluogo.
La mappa dei servizi più usati
Il 61% degli utenti (soprattutto residenti) ha utilizzato almeno una volta i servizi anagrafici, quelli largamente più frequentati, al secondo posto i servizi tributari (41%), ma cresce anche la fruizione dei servizi di mobilità (31%). Sei utenti su dieci utilizzano interamente un servizio on line, dalla consultazione alla fase di pagamento se prevista, la percentuale sale al 69% tra chi ha competenze digitali avanzate e scende al 32% tra chi ha competenze di base o inesistenti. Ad ogni modo l’online è diventato il canale prevalente di accesso ai servizi per il 90% degli utenti con competenze intermedie o avanzate, il 52% per chi ha competenze di livello base o inesistenti.
Il fronte social media
Sul fronte dei social media delle amministrazioni, Facebook è quello più frequentato. Viene utilizzato da 1 utente digitale su 2, almeno una volta alla settimana da 1 su 3. Il 30% utilizza Instagram, il 19% almeno una volta alla settimana, e il 25% You Tube. In questo caso, però, solo 9 persone su 100 lo utilizzano almeno una volta a settimana. A chiudere la classifica dei social, Twitter, utilizzato dal 13% degli utenti digitali. Lo sportello virtuale è invece lo strumento di supporto più apprezzato (72%). Il secondo è il call center dedicato (69%). Priorità che si invertono per gli utenti con competenze solo di base: 61% call center, 48% sportello dedicato.
“I dati della ricerca confermano che dopo il 2020 l’accesso on line ai servizi non è più riservato all’élite innovativa, ma è un fenomeno generalizzato, anche se non ancora universale – spiega Gianni Dominici, Amministratore Delegato di Fpa -. Un risultato che è dovuto da un lato alla progressiva semplificazione dei servizi, dall’altro alla sempre più ampia diffusione delle competenze digitali tra la popolazione. Questo, però, sembra, almeno fino ad ora, aver inciso soprattutto sull’utenza intermedia più che su quella di bassa digitalizzazione, che bisognerà maggiormente coinvolgere nel prossimo futuro”.L’identikit dell’utente digitale
Gli utenti digitali sono per tre quarti cittadini residenti e appartengono soprattutto alle fasce d’età tra i 35 e i 74 anni (45% 35 – 54 anni, 38% 55 – 74 anni). Il 41% ha competenze digitali avanzate, il 43% intermedie e solo il 13% di base, una collocazione fortemente correlata al proprio titolo di studio.
L’utilizzo informativo dei servizi online è quello più diffuso, praticato dal 90% dei partecipanti, 94% tra chi ha competenze digitali avanzate e 75% tra chi possiede competenze di base o inesistenti. Solo il 27% di chi ha competenze di base o inesistenti accede ai servizi più di 15 volte all’anno. La percentuale sale al 46% per chi ha competenze intermedie e al 45% per i titolari di competenze elevate.Gli strumenti per accedere ai servizi
Tra gli strumenti di interazione digitale la quasi totalità degli utenti digitali (92%) utilizza lo Spid, senza particolari differenze per livelli di scolarità o competenze. L’App Io è utilizzata dal 64% degli utenti digitali, mentre, all’opposto l’impiego della firma digitale è ancora limitato: viene utilizzato dal 27% degli utenti e l’utilizzo è caratterizzato da rilevanti differenziazioni rispetto al livello d’istruzione (36% tra i laureati contro il 13% tra i titolari solo di licenza media).
Il ruolo delle competenze digitali
Le valutazioni della utilità di servizi online e app delle amministrazioni sono influenzate dal livello di competenze digitali possedute: i giudizi positivi (complessivamente pari al 63%) raggiungono il 69% tra i titolari di competenze intermedie e il 64% tra i titolari di competenze avanzate mentre si fermano al 43% tra chi ha solo competenze di base. È da sottolineare che i valori più elevati della quota di giudizi positivi si riscontrano tra gli utilizzatori sistematici (70%).
Al giudizio positivo sui servizi si aggiunge la valutazione favorevole dell’evoluzione nell’ultimo biennio: per il 58% degli utenti la qualità è molto o abbastanza migliorata e solo per il 6% è peggiorata (per il 22% è rimasta uguale e il 14% non si esprime). I maggiori apprezzamenti provengono dagli utenti frequenti o sistematici. Anche nell’indicazione dell’azione prioritaria le opinioni degli utenti si articolano: per chi ha competenze avanzate o intermedie la priorità più indicata (oltre il 40%) è la semplificazione dei servizi, per quasi la metà di chi ha solo competenze digitali di base o inesistenti, invece, è prioritario “favorire l’accesso delle persone meno preparate tramite intermediari”.Life Science, il digitale mette il turbo al cambiamento
Telemedicina, sensori, robotica chirurgica e intelligenza artificiale. Sono questi alcuni dei principali ambiti d’innovazione abilitati dalle tecnologie digitali che già oggi stanno contribuendo a trasformare in maniera rilevante il settore Life Science. Altre innovazioni tecnologiche permetteranno nel medio-lungo termine di imprimere un cambiamento significativo a questo ecosistema. Tra queste, le terapie digitali (DTx), soluzioni digitali validate clinicamente per integrare o sostituire le terapie tradizionali, rappresentano un ambito d’innovazione sempre più rilevante a livello internazionale, perché capace di migliorare il percorso del paziente e rendere più efficaci i trattamenti.
E’ quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Life Science Innovation della School of Management del Politecnico di Milano.
Nonostante in Italia non sia ancora chiara la loro configurazione sul piano normativo, il 58% dei medici specialisti – coinvolti nella ricerca grazie alla collaborazione con Amd, Ame, Pke e Simfer – ritiene che le terapie digitali avranno un impatto elevato sulla pratica clinica. Dalla ricerca sui pazienti cronici o con malattie gravi di lunga durata, svolta in collaborazione con Aisc, Alleanza Malattie Rare, Apmarr, Fand, FederAsma e Onconauti, emerge che ben 7 pazienti su 10 sarebbero propensi a utilizzarle se proposte dal medico curante per il trattamento della propria patologia.Tuttavia, metà dei pazienti non sarebbe disposto a pagare di tasca propria per queste soluzioni. Nove aziende del settore Life Science su 10 – coinvolte nella ricerca condotta in collaborazione con Confindustria Dispositivi Medici e Farmindustria – considerano l’assenza di rimborsabilità da parte del servizio sanitario nazionale l’ostacolo principale alla sostenibilità finanziaria delle DTx in Italia. Nel frattempo un terzo delle aziende Life Science italiane sta già investendo in questo ambito. E la maggior parte ritiene che offrire una terapia digitale in combinazione con altri prodotti e servizi, ad esempio con un dispositivo indossabile per la raccolta di parametri clinici, sia il modello di business più sostenibile per remunerarle in assenza di rimborsabilità.
Un altro ambito di innovazione che avrà un impatto rilevante sul settore Life Science è quello delle tecnologie immersive, considerate molto interessanti anche dai pazienti: il 49% sarebbe interessato a utilizzare applicazioni di realtà virtuale o aumentata per il miglioramento del proprio stato di salute o per il trattamento della propria patologia.