LE NUOVE REGOLE

Digital Services Act, report sulla valutazione rischi: scadenza il 25 agosto

Le grandi piattaforme hanno ancora qualche giorno di tempo per consegnare alla commissione Ue i documenti con le regole sul controllo dell’incitamento all’odio, della disinformazione e delle contraffazioni. Diciannove le Big tech coinvolte

Pubblicato il 22 Ago 2023

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Conto alla rovescia per i report delle big tech sulla valutazione del rischio, previsti dal Digital Services Act. “Il tempo per fornire una valutazione del rischio è di quattro mesi. La deadline politica scadrà venerdì (25 agosto, ndr), anche se alcune piattaforme possono aver qualche giorno in più”, ha reso noto alla stampa il portavoce della Commissione Europea responsabile per l’economia Digitale, Johannes Bahrke, a proposito della prima scadenza per le le 19 grandi piattaforme online che lo scorso 25 di aprile sono state designate dall’esecutivo comunitario per rispettare gli obblighi del Digital Services Act.

Chi sono le grandi piattaforme

Si tratta di due grandi motori di ricerca (VLOSEs, in gergo) – Bing e Google Search – e 17 grandi piattaforme online (VLOPs): social media (Facebook, Instagram, Twitter, TikTok, Snapchat, LinkedIn, Pinterest), servizi di commercio elettronico (Alibaba AliExpress, Amazon Store, Apple AppStore, Zalando), servizi Google (Google Play, Google Maps e Google Shopping), e anche Booking.com, Wikipedia e YouTube.

“Ci aspettiamo di ricevere le valutazioni dei rischi secondo il Dsa sui rischi sistemici su cui si devono focalizzare”, ha aggiunto il portavoce, precisando che “sono diversi da piattaforma a piattaforma”.

Dalla protezione dei minori alla disinformazione, fino all’integrità dei processi elettorali. “Tutti questi rischi devono essere affrontati, ciascuna piattaforma secondo i propri rilevati”. Il portavoce della Commissione ha spiegato che una volta ricevute le valutazioni di rischio “le controlleremo con attenzione, poi ci sarà un audit indipendente”. I report “non saranno subito pubblicati, ma solo dopo gli audit”.

Cosa prevede il Digital Services Act

Il Digital services act richiede alle aziende con oltre 45 milioni di utenti attivi mensili di rispettare una serie di regole sul controllo dell’incitamento all’odio, della disinformazione e delle contraffazioni presenti sulle loro piattaforme. Le aziende devono presentare valutazioni del rischio e condurre audit esterni e indipendenti, altrimenti rischiano multe fino al 6% delle loro entrate annuali.

Quanto al Dma (Digital Markets Act) – la legge insieme al Dsa mira a un maggiore controllo sulle Big tech –  sette grandi piattaforme digitali hanno notificato a Bruxelles il loro status di gatekeeper ai sensi delle disposizioni della nuova norma. Si tratta di cinque  statunitensi – Google, Apple, Meta, Amazon e Microsoft, una cinese – ByteDance, casa madre di TikTok – e una sudcoreana, Samsung.

Il ricorso di Amazon e Zalando

A luglio Amazon si è appellata alla Corte di giustizia Ue per essere “declassificata” dalla lista delle 17 very large online company obbligate al rispetto di stringenti requisiti previsti dal Dsa.

Il Dsa, secondo le osservazioni di Amazon, “è stato concepito per affrontare i rischi sistemici posti dalle grandi compagnie che hanno la pubblicità come prima fonte di reddito e che distribuiscono conversazioni e informazioni. Non è questo il caso di Amazon”. Per il gigante di Seattle, essere inseriti nella lista di Bruxelles comporta “obblighi amministrativi onerosi” che finirebbero col danneggiare i consumatori europei.

Amazon ha dichiarato di essere stata “ingiustamente etichettata” nell’elenco dell’Ue, che include altri giganti tecnologici americani come Meta, Google e Apple.

“Siamo d’accordo con l’obiettivo della Commissione europea e siamo impegnati a proteggere i clienti da prodotti e contenuti illegali. Tuttavia, Amazon non corrisponde a questa descrizione di una piattaforma online molto grande (Vlop) ai sensi del Dsa – affermava l’azienda americana – e pertanto non dovrebbe essere designata come tale. La stragrande maggioranza dei nostri ricavi proviene dalla nostra attività di vendita al dettaglio, non siamo il più grande rivenditore al dettaglio in nessuno dei paesi dell’Ue in cui operiamo e nessuno di questi più grandi rivenditori presenti in ogni paese europeo è stato designato come Vlop. Se la designazione Vlop dovesse essere applicata ad Amazon e non ad altri grandi rivenditori dell’Ue, Amazon verrebbe ingiustamente colpita dalla normativa e costretta a soddisfare obblighi amministrativi onerosi che non avvantaggiano i consumatori dell’Ue”.

Prima di Amazon a presentare ricorso è stata l’azienda europea dell’e-commerce Zalando. “Sosteniamo il Digital services act e i suoi obiettivi, ma la Commissione europea ha interpretato erroneamente i numeri dei nostri utenti e non ha riconosciuto il nostro modello di business, basato soprattutto sul retail. Il numero di visitatori europei che acquistano dai nostri partner è di gran lunga inferiore rispetto alla soglia fissata dal Dsa per essere considerati una very large online platform”, ha spiegato l’azienda tedesca.

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