Il Parlamento britannico continua a seguire la sua linea di “tolleranza zero” verso le grandi aziende che fanno affari nel paese ma adottano escamotage per pagare meno tasse. Dopo aver chiesto chiarimenti a Google, ora è Amazon a dover tornare davanti al Public Affairs Committee (PAC) della Camera dei Comuni e spiegare l’esatta natura delle sue attività in Uk.
Negli ultimi sei anni, Amazon ha pagato circa 9 milioni di dollari di tasse sul reddito su più di 23 miliardi di dollari di vendite ai clienti britannici, perché, spiega il colosso Internet, gestisce una singola struttura europea con sede in Lussemburgo anziché una struttura multinazionale di filiali indipendenti in diversi paesi.
Tuttavia, un’inchiesta dell’agenzia di stampa Reuters ha portato alla luce prove, estratte da documenti della stessa Amazon (comunicati, annunci di lavoro, pubblicità, dichiarazioni di fornitori ed ex dipendenti, e i profili di oltre 140 persone del suo staff sul sito LinkedIn) che indicano che la filiale di Amazon in Uk ha un forte grado di autonomia, con manager locali che decidono in tutta indipendenza su diversi aspetti del business in Gran Bretagna. Reuters dice di aver così dimostrato che, benché Amazon si descriva come un business virtuale, ha in realtà una struttura simile alle aziende del vecchio mondo offline.
Secondo Bryan Roberts della società di consulenza Kantar Retail, a parte il fatto che i compratori siglano gli accordi su Internet, Amazon.co.uk è di fatto un retailer britannico: “Il 99% delle persone responsabili delle vendite, promozione, attività online e consegne ha sede a Slough, vicino Londra“, afferma Roberts.
Anche il quotidiano The Guardian ha pubblicato un’inchiesta indicando di avere prove di “estese attività in Uk” per Amazon suggerendo che il fisco dovrebbe trarne le debite conseguenze.
Molte aziende che vendono su Internet usano indicare la loro filiale britannica come “fornitore di servizi di supporto” per un’affiliata in un altro paese dove il regime fiscale è molto favorevole, tramite la quale gestiscono le vendite. Anche aziende come Expedia e Microsoft hanno usato meccanismi del genere per ridurre il carico fiscale, pur impiegando molti dipendenti in Gran Bretagna in ruoli diversi, come dimostrano i loro stessi siti Internet, gli annunci di lavoro e i profili LinkedIn.
Finora l’autorità fiscale britannica, chiamata Her Majesty’s Revenue and Customs (HMRC), non si è mai preoccupata di definire i limiti entro cui una Internet company può fare affari in Gran Bretagna prima di dover considerare che è soggetta a tassazione. E’ emersa così un’ampia zona grigia. Nel caso di Amazon, gli esperti dicono che l’azienda conduce molte e diverse attività in Gran Bretagna e che potrebbe trovarsi nel torto, benché non sia chiaro quanto debba pagare.
Margaret Hodge, la parlamentare britannica che guida il PAC, ha chiesto all’HMRC di studiare più attentamente il business di Amazon in Uk per chiarire se deve pagare tasse da cui finora si è protetta. La Hodge ha fatto sapere che richiamerà Amazon a testimoniare davanti al PAC, definendo meglio le posizioni già espresse in un’udienza a novembre.
La questione è molto complessa. Jacques Sasseville, capo della tax treaty unit presso l’Ocse, ritiene che se le vendite di un’azienda sono condotte online, è quasi impossibile provare la presenza in una determinata giurisdizione e quindi il fatto che l’azienda sia tassabile, indipendentemente dalle attività condotte nel paese in questione.