Il tessuto produttivo delle pmi è estremamente dinamico: testimoniato dal forte incremento di produttività del lavoro registrato nel decennio 2010-2019 e che ha raggiunto livelli superiori a quella di Germania e Spagna, si riflette anche in un miglioramento della competitività sui mercati internazionali. Le pmi italiane nel 2021 (ultimo dato disponibile) hanno infatti esportato 219 miliardi di euro, pari a circa la metà dell’export complessivo, con una crescita media annua del 2,7% tra il 2017 e il 2021, segnando un pieno recupero post-pandemico.
Lo afferma la ricerca ‘Piccole, medie e più competitive: le pmi italiane alla prova dell’export tra transizione sostenibile e digitale’ realizzata dall’Ufficio Studi di Sace in collaborazione con The European House – Ambrosetti, secondo cui le pmi italiane oggi realizzano all’estero circa un terzo del proprio fatturato (ben 8 punti percentuali sopra alle tedesche) e contribuiscono al 48% dell’export nazionale, rispetto al 20% delle tedesche e delle francesi e al 34% delle spagnole. Un trend che si rafforza anche in prospettiva: le esportazioni sono attese crescere quest’anno del 6,2%, del 4% nel 2024 e del 3,2%, in media, nel biennio successivo (2025-2026), quando supereranno i 300 miliardi di euro.
Oriente al centro della crescita dell’export
Con riferimento ai mercati di destinazione, a guidare la crescita dell’export delle pmi italiane quest’anno sarà l’Oriente: Medio Oriente, Asia orientale e centrale sono le aree per cui si prevedono infatti i maggiori incrementi (rispettivamente +10,1%, +9,2%, +8,4%), a fronte di tassi inferiori per l’Europa (+5,5%) e per l’America settentrionale (+6,6%) che rimangono comunque in valore assoluto le principali geografie di sbocco. Nel 2024 un maggiore dinamismo si rileverà in Africa subsahariana (+5,6%), America centro-meridionale (+5,4%) e America settentrionale (+5,1%).
Doppia transizione sostenibile e digitale come boost per la crescita
La transizione sostenibile e rivoluzione digitale sono i due fenomeni che stanno caratterizzando in modo sempre più nitido e marcato l’attività di impresa. Nel 2022, oltre il 60% delle medie imprese manifatturiere (e quasi il 40% delle piccole) ha infatti intrapreso “azioni di sostenibilità”, mostrando un’attenzione crescente per questi temi. La cosiddetta “Duplice Transizione” (“Twin Transition”) aumenta la propensione all’export delle pmi: il numero delle imprese che investe in green e digitale e che esporta è di 20 punti percentuali superiore a quello delle imprese che esportano non facendo alcuna transizione. Abbracciare la Duplice transizione green e digitale porta le pmi a essere più resilienti, lungimiranti e consapevoli, ma soprattutto più produttive e competitive non solo in ambito nazionale ma anche internazionale.
Dalle pmi il 40% del valore aggiunto nazionale
L’indagine Sace ribadisce poi un fatto già noto: le pmi rappresentano la spina dorsale dell’economia italiana e giocano un ruolo importantissimo sia in chiave economica sia in chiave sociale. Le oltre 200 mila piccole e medie imprese italiane producono un giro di affari di oltre 1.000 miliardi di euro, generano quasi il 40% del valore aggiunto nazionale e impiegano 5,4 milioni di persone, pari a un terzo di tutti gli occupati. Inoltre sono fortemente interconnesse e sviluppano con il loro ecosistema forme di innovazione e collaborazione aperte per poter accedere a risorse strategiche (come conoscenza, tecnologia, finanza o competenze) per la loro crescita. Un network che fa della resilienza e della sostenibilità la chiave del proprio sviluppo.
Al centro delle catene globali del valore e dei numerosi distretti industriali, elemento fondamentale della diffusione e affermazione del Made in Italy nel mondo, con un ruolo di “connettore sociale” e di attore chiave nei processi di transizione verso un mondo più sostenibile, digitale e interdipendente, le pmi italiane offrono da sempre un contributo rilevante per lo sviluppo economico, tecnologico e sociale del Paese. Nonostante alcuni segnali di attenzione emersi nel corso del primo trimestre 2023, le pmi italiane possono contare su una struttura finanziaria rafforzatasi negli ultimi anni e su livelli di debito relativamente contenuti, che permettono loro di mitigare, almeno in parte, l’esposizione agli effetti avversi legati al peggioramento delle condizioni creditizie.