C’era grande attesa questa settimana tra gli addetti ai lavori per il primo incontro diplomatico d’alto profilo dopo la debacle negoziale del Wcit-12, in occasione del quale i tentativi di riformare gli Itrs (i trattati internazionali sulle telecomunicazioni) finirono in rissa. Tra martedì e giovedì i 193 stati membri dell’Itu (l’agenzia Onu che si occupa di telecomunicazioni) si sono dati convegno a Ginevra per il World Telecom Policy Forum (Wtpf), uno dei vari consessi intergovernativi preposti a dibattere il futuro delle politiche in materia di Tlc. Appuntamento utilissimo, in questo particolare frangente, per testare gli umori del post-Dubai. Che occhio e croce non sembra abbiano conosciuto alcuna sensibile torsione rispetto allo scorso dicembre.
Sebbene i seminari e tavoli di discussione del Wtpf siano scivolati via senza scaramucce degne di menzione, ovvero all’insegna di una fragile tregua, hanno anche evidenziato che lo strappo consumatosi in dicembre negli Emirati Arabi è bel lungi dal ricomporsi. Altrimenti detto, sul nodo della “governance di internet” Ue e Stati Uniti da un lato e alcune delle principali delegazioni non occidentali (su tutte Cina e Russia) dall’altro restano su posizioni antitetiche, inconciliabili. Gli uni convinti che la Rete debba continuare a mantenere l’attuale architettura di gestione flessibile e multi-stakeholder, restando fuori dal mandato (e dunque dalla sfera giuridica) dell’Itu e degli Itrs, ragione per la quale abbandonarono il tavolo di Dubai decidendo di non sottoscrivere la nuova versione dei Trattati. Gli altri, viceversa, determinati a conferire all’organismo Onu, e di rimando ai governi che ne fanno parte, più voce in capitolo e poteri d’intervento sul funzionamento d’internet.
Che la controversia continui discretamente a trascinarsi senza possibilità di compromesso, lo si è d’altro canto capito forte e chiaro quando la rappresentanza brasiliana, spalleggiata da Cina e Russia, ha presentato al voto dei delegati riuniti a Ginevra un progetto di opinione nel quale si propone “di rendere operativo il ruolo dei governi nell’architettura di gestione multi-stakeholder di internet”. E quindi “di assicurarne una partecipazione significativa”. Un linguaggio irricevibile per americani ed europei, che hanno sabotato con successo l’approvazione del documento, lamentando il tempo limitato a disposizione per discuterne i dettagli. Il forum ha nondimeno portato a casa l’approvazione, praticamente all’unanimità, di sei opinioni non vincolanti, quattro delle quali dedicate alla promozione e al sostegno delle infrastrutture digitali. Nello specifico, i documenti si concentrano sulla transizione al nuovo protocollo IPv6, sulla necessità di approntare in tempi rapidi nuovi punti d’interconnessione in particolare nei paesi in via di sviluppo, e sull’impegno da parte dei governi a rafforzare l’espansione delle reti a banda larga.
Il redde rationem, per questa volta, è dunque rinviato. Ed era forse nell’interesse di tutti. A cominciare dalla sempre folta delegazione statunitense, atterrata a Ginevra con l’intendimento di “impegnarsi in un dialogo costruttivo sulle politiche pubbliche in materia di internet”. Anche se, per la verità, da oltreoceano continuano ad arrivare segnali in tutt’altra direzione. Nella mattinata di mercoledì, il Congresso americano ha infatti dato semaforo verde ad un disegno di legge (http://www.govtrack.us/congress/bills/113/hr1580/text) bipartisan nel quale giudica essenziale che “Internet rimanga stabile, sicuro e libero da qualsiasi forma di controllo governativo”, a dispetto di quelle proposte “avanzate da organismi internazionali che vorrebbero alterarne in profondità la governance e l’attuale funzionamento”. Governance che il governo statunitense “s’impegna a promuovere e preservare”. Ogni riferimento a quanto accaduto in sede di Wcit, si fa per dire, è puramente casuale… Si tratta ad ogni buon conto di un passo giuridico molto significativo. Perché, se gli stessi concetti erano stati messi nero su bianco in una risoluzione non vincolante votata sempre dal Congresso a ridosso del Wcit, da ora avranno “forza di legge”.
Il che, però, non cambia di una virgola la situazione di grave incertezza sotto il profilo del diritto internazionale che è venuta a delinearsi dopo Dubai. La descrive con precisione la Commissione europea in un documento interno consegnato poche settimane fa ai paesi membri. “L’ultimo giorno del Wcit, 89 dei 193 paesi membri dell’Itu hanno sottoscritto il nuovo Trattato”, scrive la Commissione. Ciò evidenzia che il precedente Trattato risalente al 1998, “continuerà a governare le relazioni degli stati che non hanno firmato la nuova versione”, con la “coesistenza di due trattati relativi al medesimo tema”.
Insomma, la “guerra fredda”, come l’ha ribattezzata il segretario generale dell’Itu Hamadoun Touré (nella foto) attraverserà pure un breve scorcio di distensione, ma è pronta a riesplodere all’orizzonte del 2014 quando si terrà la prossima riunione plenipoteziaria dell’Itu (che, fatta eccezione per il Wcit, è il più importante vertice internazionale in ambito telecomunicazioni).