“Perché l’intelligenza artificiale è una sfida alla nostra umanità? Lo è perché ci richiama alla responsabilità, che è l’altra faccia della medaglia della libertà. Le straordinarie possibilità che la tecnologia ci offre e che sempre di più ci offrirà in futuro ci obbligano a prendere consapevolezza del fatto che questa nostra epoca esige un di più di responsabilità”: Antonio Palmieri, presidente della Fondazione Pensiero Solido, introduce con queste parole “Intelligenza artificiale. E noi? Una sfida alla nostra umanità”, volume che raccoglie 25 interventi fra esponenti delle grandi aziende tecnologiche, pensatori laici e religiosi, accademici e ricercatori, regolatori e ricercatori sociali, tecnologi, imprenditori, professionisti e manager, tutti a vario titolo impegnati con la tecnologia e con l’intelligenza artificiale. (CLICCA QUI PER ACQUISTARE IL LIBRO)
L’innovazione migliora la vita ma serve responsabilità
“Le straordinarie possibilità che la tecnologia ci offre e che sempre di più ci offrirà in futuro ci obbligano a prendere consapevolezza del fatto che questa nostra epoca esige un di più di responsabilità. Abbiamo l’obbligo di informarci, di sapere di più, di non essere fruitori passivi ma utenti attivi, vale a dire capaci di usare gli strumenti senza esserne usati, a partire dalla gestione dei nostri dati personali”, aggiunge Palmieri. È una sfida dunque a diventare più “intelligenti”, cioè “capaci di trovare soluzioni tecniche adeguate sapendo che l’innovazione non è un fine ma uno strumento per migliorare la nostra vita. Non siamo un’appendice dello sviluppo tecnico, abbiamo da affrontare la sfida e il compito di configurare la digitalizzazione in modo tale che essa contribuisca all’umanizzazione del mondo”.
Informarsi è la prima regola
La sfida numero uno è informarsi e soprattutto cercare di evitare le “trappole” comunicative. “Con l’intelligenza artificiale, soprattutto con quella generativa, si ripresenta un bug frequente nella comunicazione dell’innovazione, un’alterazione narrativa che porta alla ricerca del mostro, dell’insolito, dell’inedito per scatenare l’effetto wow!”, evidenzia Giovanni Iozzia, Direttore di EconomyUp, testata del Gruppo Digital360. “Abbiamo visto di tutto: funerali simulati e anticipati, umani intervistati da ChatGpt, foto artificiali spacciate per vere con l’intenzione di aprire il dibattito, programmi radiofonici condotti da un algoritmo, presto vedremo interi film senza attori reali e ascolteremo musica creata da una macchina (ma ce n’è già tanta in giro, non dichiarata). Con queste premesse troppo facile scivolare nel racconto di un mondo governato dagli automi, che ci toglieranno prima il lavoro e dopo la libertà, rinunciando a una riflessione più ampia e produttiva sul cambiamento che va visto, compreso e governato”.
Lavoro, privacy, diritti: cosa cambierà con l’AI
Lavoro, salute, diritto, accessibilità, privacy, algoritmi, legislazione, ruolo della politica e delle imprese grandi e piccole, ricerca: i principali aspetti e le relative problematiche connesse all’impatto dell’intelligenza artificiale trovano le domande giuste e la postura corretta per dare loro risposta nelle pagine del volume. Che potrà essere apprezzato sia dagli addetti ai lavori sia da chi voglia farsi un’idea completa dei vari modi in cui l’intelligenza artificiale ci interroga.
“La chiamiamo intelligenza artificiale e ne parliamo come fosse un’entità autonoma, una potenza straniera, dimenticando che è il prodotto di aziende con legittimi interessi economici che, come tali, vanno eventualmente regolati, contemperati e valutati nei loro impatti sociali – sottolinea ancora Iozzia -. Concentrarsi solo sui pericoli (che oltretutto in questo momento sono potenziali) significa correre un grande rischio: rinunciare alle enormi opportunità economiche (ma non solo) offerte dall’intelligenza artificiale in tutti i campi della vita sociale. Come Paese non possiamo permetterci il lusso di stare sulle barricate, altrimenti diventeremo solo un mercato di conquista, come è avvenuto per altri ambiti tecnologici. E l’Europa non può solo menar vanto di aver prodotto il primo AI Act, senza una politica di sviluppo e con l’ansia di creare strati progressivi di burocrazia”