LO SCENARIO

Geopolitica e investimenti: rischi per la transizione digitale & green in Italia

Il 62% degli amministratori delegati prevede una temporanea flessione, moderata o grave, del mercato in cui opera. Il 54% stima impatti significativi a causa delle accelerazioni normative sul fronte Esg e sostenibilità ambientale e per il 48% ci saranno effetti sulla disruption tecnologica e digitale. Il contesto macroeconomico mondiale resta sfidante fra tensioni commerciali, inflazione e riduzione dei consumi, aumento dei tassi d’interesse e diminuzione della disponibilità di credito

Pubblicato il 09 Ott 2023

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Il contesto macroeconomico a livello globale preoccupa gli amministratori delegati: tra inflazione e riduzione dei consumi, aumento dei tassi d’interesse, diminuzione della disponibilità di credito e tensioni commerciali, il 62% dei ceo prevede una temporanea flessione, moderata o grave, del mercato in cui opera.

In questo quadro, il 54% dei manager italiani indica i fattori Esg e la sostenibilità ambientale tra i principali rischi che potrebbero impattare le performance aziendali, anche alla luce di accelerazioni normative che possono determinare impatti significativi sull’offerta di prodotti, sui processi produttivi e sulle catene di fornitura (per il 54%). Al secondo posto, percepiti dal 48% degli intervistati, i rischi connessi alla disruption tecnologica e digitale, inclusi i cyber rischi e l’impatto dell’AI.

È quanto emerge dall’EY Ceo Outlook Pulse, che ha registrato le opinioni di oltre 1200 ceo in tutto il mondo (dei quali 50 in Italia) sulle prospettive, sfide e opportunità delle aziende italiane e internazionali. Dall’analisi emerge che, nonostante le pressioni, i ceo italiani intervistati – più dei top manager degli altri Paesi presi in considerazione dall’indagine – dimostrano consapevolezza delle sfide da affrontare, inclusa quella legata all’intelligenza artificiale, e stanno rispondendo indirizzando le risorse aziendali verso investimenti che coniughino le esigenze di breve periodo con le trasformazioni strutturali dei propri modelli operativi e di business. Infatti, il 48% si dichiara più ottimista rispetto a quanto rilevato a inizio anno riguardo alla performance della propria azienda nei prossimi 12 mesi.

La reazione “ottimista” dei ceo italiani

“Nonostante l’attuale contesto macroeconomico e geopolitico ponga ancora una volta le aziende di fronte a una molteplicità di rischi esterni e interconnessi, i ceo, e in particolar modo quelli italiani, stanno reagendo con ottimismo, con il 46% (contro il 31% a livello globale) deciso a trasformare i modelli operativi e di business – spiega Massimo Antonelli, ceo di EY in Italia e coo di EY Europe West –. In questa trasformazione risulta chiaro il ruolo decisivo attribuito all’intelligenza artificiale, in relazione alla quale si dimostrano più avanti nel riconoscerne le opportunità rispetto ai colleghi di altri Paesi. Lungimiranti anche per quanto riguarda la sostenibilità: il 64% dei ceo italiani, in percentuale quasi doppia rispetto ai ceo a livello globale, investe risorse sostanziali per garantire valore di lungo termine ad azionisti e aziende”.

Contesto macroeconomico e geopolitico

L’attuale contesto geopolitico, le conseguenti tensioni commerciali e il manifestarsi di più evidenti meccanismi protezionistici in vari mercati, per il 96% dei manager italiani intervistati stanno impattando in maniera rilevante sulla gestione degli investimenti e sull’analisi delle aree geografiche in cui operare. Più in dettaglio, la revisione dei piani di investimento, delle operations o dei mercati in cui operare è dovuta principalmente, per il 31% dei ceo italiani, alla crescente frammentazione dell’economia globale, che si contrappone a uno scenario di globalizzazione alla base del funzionamento dei sistemi economici sino alla pandemia da Covid-19. A questo si aggiunge (per il 21% dei rispondenti) il timore di restrizioni al commercio o agli investimenti esteri. Allo stesso modo, anche i conflitti in corso hanno un impatto rilevante per il 21% degli intervistati.

Promesse e sfide dell’intelligenza artificiale

I ceo vedono chiaramente le enormi opportunità derivanti dall’applicazione dell’intelligenza artificiale (AI): il 70% degli intervistati in Italia (65% a livello global) ne riconosce il potenziale per migliorare la produttività, promuovere l’efficienza aziendale e creare quindi risultati positivi per la società (ad esempio le innovazioni nei trattamenti sanitari). La medesima percentuale (il 70% a livello Italia contro il 66% degli intervistati a livello globale) è d’accordo che l’impatto dell’AI sulla forza lavoro sarà controbilanciato dai nuovi ruoli e dalle nuove opportunità di carriera creati dalla tecnologia, respingendo i timori che l’AI possa avere un impatto negativo sull’occupazione.

Allo stesso tempo, i ceo sono preoccupati da eventuali conseguenze indesiderate dell’AI: i due terzi dei ceo italiani (66%) affermano che è necessario più lavoro per affrontare i rischi inerenti al nuovo futuro alimentato dall’AI, dagli attacchi informatici alla disinformazione e ai deepfake. Infine, il 74% ritiene che non si stia facendo abbastanza per gestire le conseguenze negative, sociali ed etiche, sia per la comunità imprenditoriale sia per la società in generale.

Nonostante questi timori, i ceo – e in particolar modo quelli italiani – stanno elaborando strategie di investimento per massimizzare i vantaggi attuali e futuri che l’AI può apportare al loro business e l’allocazione del capitale si sta focalizzando su queste nuove tecnologie. Il 64% dei ceo italiani (contro il 43% a livello globale) ha già mostrato consapevolezza sulla necessità di integrare l’AI nella loro offerta di prodotti e servizi, investendo attivamente – principalmente attraverso strategie organiche di sviluppo interno – nell’innovazione guidata dall’AI.

Pprogetti di trasformazione e creazione di valore

Nei prossimi 12 mesi i manager italiani perseguiranno una strategia di allocazione del capitale destinata perlopiù a favorire la crescita organica (34%, contro il 25% a livello global), mantenere una riserva di liquidità per opportunità future o sfide inaspettate (28%, contro il 29% a livello global), perseguire fusioni e acquisizioni (24%, contro il 26% a livello global). Solo il 14% (contro il 20% a livello global) degli intervistati in Italia ha evidenziato l’intenzione di proseguire con azioni volte al riacquisto di azioni proprie o alla erogazione di dividendi per remunerare gli azionisti. Facendo leva su crescita organica e operazioni di M&A, le aziende italiane puntano in primo luogo a migliorare le proprie capacità tecnologiche e d’innovazione (28%), espandersi in nuovi mercati o aree geografiche (24%), lanciare nuovi prodotti e servizi o migliorare quelli esistenti (18%).

“Il complesso contesto geopolitico sta mettendo in crisi alcuni equilibri consolidati nel tempo – commenta Marco Daviddi, Strategy and Transactions Managing Partner di EY in Italia -. Per le aziende questo vuol dire, ad esempio, ridefinire i mercati target in cui operare, riorganizzare gli approvvigionamenti di materie prime e prodotti e affrontare nuove sfide tecnologiche. I manager hanno ben compreso che per accelerare in queste direzioni la leva transazionale è importante; infatti il 90% dei ceo italiani intende utilizzarla, anche se prevale, in questa fase di mercato caratterizzata da tassi elevati, alti costi della liquidità e incertezze valutative, l’intenzione di ricorrere alle JV e alle alleanze strategiche, rispetto alla tradizionale attività M&A. Ad ogni modo, questa rimane per molti manager l’opzione da percorrere specie quando si vuole accelerare il riposizionamento su mercati geografici target. È infatti molto interessante notare come, nonostante uno scenario transazionale che vede a livello globale e in Europa un sostanziale freno dell’attività, le aziende italiane stanno continuando a perseguire attività M&A a livello internazionale, acquistando asset su mercati non domestici. Nei primi nove mesi del 2023 sono circa 160 le operazioni che hanno visto come acquirente aziende italiane e come target aziende estere, con un controvalore investito superiore a 11 miliardi di euro, in crescita di circa il 6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un dato in controtendenza che testimonia la vitalità del nostro sistema produttivo”.

Il 78% dei ceo Italiani conferma di voler proseguire, se non accelerare, la trasformazione dei propri modelli operativi e di business. Questi progetti sono finanziati in larga parte con mezzi propri, attraverso iniziative di efficientamento operativo (45%), rifinanziamento del debito esistente (26%), attraendo nuovi capitali (21%). Solo l’8% del campione intervistato intende procedere con la cessione di asset non core (8%) per ottenere risorse da destinare allo sviluppo di nuovi prodotti o servizi o per iniziative di riposizionamento di mercato.

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