Caro Direttore,
mi consenta di rendere pubbliche alcune riflessioni a partire dal titolo con cui lei ha aperto l’ultimo numero del Corriere delle Comunicazioni “Agenda basta indugi”. Un appello che è stato lanciato con forza ieri dal presidente di Confindustria e che non ha lasciato dubbi: “L’Agenzia per l’Italia Digitale è una strada da seguire con forza e decisione”. È vero, si tratta, sempre per usare le parole di Squinzi, “di un’azione vitale per tutto il Paese”.
Ma perché? Per due motivi: da una parte è lo strumento con cui avviare quella semplificazione burocratica necessaria per eliminare quelle inutili perdite di tempo che asfissiano cittadini e imprese; dall’altra è il catalizzatore di un settore, quello del digitale e dell’innovazione tecnologica, che è importante, in termini occupazionali e professionali, al pari di altri pilastri del Made in Italy, quali la manifattura, la moda, l’alimentazione.
Il viceministro Catricalà ha bene inquadrato la situazione: lo sviluppo del digitale può portare alla creazione di oltre 200mila posti di lavoro. È vero. Così come è vero che la mancata dematerializzazione dei rapporti con la pubblica amministrazione costa alle imprese 15 miliardi. L’Agenda digitale tocca trasversalmente tutte le amministrazioni centrali e locali ed è una delle poche politiche che incidono positivamente sulla spesa pubblica e che porta uno straordinario impulso alla crescita. Ora diventa necessario fare presto e per questo è molto incoraggiante l’impegno del Ministro Zanonato per velocizzare il percorso di attuazione dell’Agenzia, così come l’esigenza di semplificarne la gestione, oggi troppo complessa e farraginosa.
L’Agenzia non è un accessorio. Ha un ruolo importante per lo sviluppo del Paese, partendo dalle priorità declinate da Squinzi e da Parisi: fascicolo sanitario elettronico, carta di identità elettronica, anagrafe unica per quanto riguarda la digitalizzazione della PA, fondi di venture capital, supporto alla economia digitale per quando riguarda le imprese e l’innovazione.
Anche in questo secondo ambito l’Agenzia può (e deve) fare molto di più. L’Italia è il Paese dei tesori nascosti. Spesso ignorati dai media, troppe volte ignorati, colpevolmente, dalla politica, in Italia ci sono un grande numero di “tesori”, di eccellenze ad alto contenuto di innovazione che, però, in molti casi, non trovano il terreno fertile per crescere e svilupparsi. Non è un problema di oggi: l’Italia, va riconosciuto, non è stata sempre in grado di sostenere i suoi innovatori. L’Agenzia per l’Italia Digitale oggi può (e deve) farlo.
Ricordiamo due esempi di cosa potrebbe fare l’Agenzia, e che non fa.
Il primo è il progetto “Italia degli Innovatori” che ha (ha avuto) lo scopo di diffondere la conoscenza delle innovazioni e delle eccellenze tecnologiche italiane e per offrire alle piccole e medie aziende una vetrina sul mondo. Ha debuttato all’Expo Universale di Shanghai 2010, portandovi le aziende più innovative del paese, e oggi è diventato il principale progetto di collaborazione tra il governo cinese e il governo Italiano. Nel 2012 alla Cina si sarebbero dovuti affiancare la Russia, l’India, il Brasile e la Corea del Sud. Per l’inoperosità dell’Agenzia non è stato fatto nulla, eppure Italia degli innovatori è stato giudicato dal Comitato Organizzatore dell’Expo di Shanghai come il miglior progetto sull’innovazione di tutta l’Esposizione Universale.
L’idea del progetto è semplice: l’Italia è nota nel mondo per il design, la moda, per i prodotti di lusso e per il suo lifestyle. Il suo obiettivo è fare conoscere un’altra Italia, fatta di tecnologia di altissimo livello, d’innovazione d’avanguardia anche in settori che spesso si pensa che siano appannaggio di altri paesi.
Per gli imprenditori che hanno partecipato, in maggior parte piccole e medie imprese anche se non sono mancati i campioni nazionali, è stato importante essere presentati dal governo italiano, al massimo livello possibile, la Presidenza del Consiglio, e i risultati sono stati buoni. Non solo: il progetto è stato realizzato in piena collaborazione con ICE e con le rappresentanze diplomatiche, dimostrando che la Pubblica Amministrazione sa e può lavorare bene insieme. Oggi è tutto fermo.
Il secondo è il fondo HT. Come è noto, la misura relativa al Fondo High Tech per il Mezzogiorno è stata la prima esperienza di partnership pubblico–privato nell’ambito di un intervento di portata nazionale (in verità al Sud Italia) a sostegno del venture capital. Gestita dal Dipartimento per l’Innovazione e le Tecnologie (DIT) della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha previsto la sottoscrizione, da parte del DIT, di quattro fondi mobiliari chiusi promossi e gestiti da altrettante società gestione del risparmio private individuate tramite bando.
Dopo un avvio lento, il bilancio dopo i primi 3 anni dall’avvio è positivo fondi complessivi in corso di investimento oltre 110 milioni. Un idea geniale. A ogni euro privato di investitori privati, lo Stato ha affiancato 1 euro di fondi pubblici affidati a operatori finanziari di altissimo livello.
I numeri al 2012 sono buoni: 22 start-up finanziate con un ammontare investito di circa 45 milioni con 300 nuovi occupati, numero in crescita perché si tratta di start-up che si stanno sviluppando con buone proiezioni commerciali e di business development europee e globali. Certo sono ancora piccoli, ma va ricordato che prima del Fondo HT Sud nessun investitore istituzionale aveva mai investito su imprese innovative al Sud. Al contrario, con questo progetto, oltre 55 milioni di euro privati sono stati resi disponibili, e in parte già investiti, per nuove imprese high-tech nel mezzogiorno. Invece di parole, fatti concreti. Ora, nuovamente, questo è del tutto fermo. Eppure, si tratta di un successo straordinario, portato come esempio dalla Kauffman Foundation al Center for Venture Education di Palo Alto, riconosciuto come uno dei migliori modelli di impiego del denaro pubblico per supportare l’innovazione, fermo, dimenticato. Questo non può continuare.
L’Agenzia deve essere esattamente quello che il presidente Enrico Letta ha dichiarato, ovvero un motore dello sviluppo del Paese. Ma deve esserlo subito, con le persone giuste e con il pieno supporto dell’esecutivo, senza i lacci e lacciuoli che l’hanno legata fino ad oggi.