No al fair share in nome dell’open internet, garanzia di innovazione e prezzi convenienti per consumatori e imprese: questo l’appello che le aziende hitech europee inviano ai 27 ministri delle telecomunicazioni dell’Ue. La richiesta è che l’Europa faccia un passo indietro sull’ipotesi di una “partecipazione” delle piattaforme digitali agli investimenti di rete delle telco.
La “Dichiarazione congiunta a sostegno dell’open Internet” (SCARICA QUI IL DOCUMENTO COMPLETO) è firmata da una coalizione che include la Computer & communications industry association (Cccia Europe), le associazioni tecnologiche nazionali di Francia, Irlanda e Polonia, le associazioni di categoria dell’Ue e altri attori di mercato.
I firmatari sottolineano di essere uniti nell’esprimere completa contrarietà a tutte le cosiddette richieste di “fair share” da parte di alcuni operatori di telecomunicazioni: questa “tassa” sulle big tech per l’utilizzo della rete si ripercuoterebbe immediatamente sugli utenti, che si ritroveranno a pagare due volte per lo stesso traffico Internet.
Appello dell’industria tech ai ministri Tlc europei
La dichiarazione congiunta è arrivata alla vigilia dell’incontro dei ministri nazionali a León per un consiglio informale delle telecomunicazioni. La coalizione invita gli Stati membri dell’Ue a fornire una guida politica inequivocabile alla Commissione per respingere definitivamente l’ipotesi delle tariffe di rete.
“I ministri delle telecomunicazioni devono esaminare le prove e ascoltare tutte le parti interessate. È fondamentale che chiariscano alla Commissione europea che queste idee fuorvianti sulla cosiddetta equa partecipazione devono essere respinte una volta per tutte”, ha dichiarato Daniel Friedlaender, direttore della Ccia Europe. “Fare pagare gli europei più volte per lo stesso traffico Internet è una delle iniziative Ue meno popolari mai lanciate a Bruxelles, e non avrebbe mai dovuto essere considerata in primo luogo. È ora che l’Europa vada oltre”.
La lettera congiunta contro il fair share
“Siamo perfettamente allineati nell’opporci a qualunque forma di pagamento obbligatorio o a meccanismi di arbitrato, come proposti da alcuni operatori delle telecomunicazioni, incluse le commissioni sull’uso delle reti. Sono tutt’altro che equi e arrecherebbero un danno irreversibile all’open internet, così come alla trasformazione digitale e all’economia dell’Europa“, si legge nella dichiarazione congiunta della Ccia Europe e delle altre associazioni di categoria.
Sarebbero le imprese e i consumatori europei a pagare il prezzo di queste tariffe, prosegue la lettera, perché andrebbero a finanziare gli stessi investimenti di rete cui già contribuiscono pagando gli abbonamenti alle piattaforme internet. Il fair share imporrebbe un peso all’economia online e sarebbe controproducente proprio mentre l’Ue punta ad accelerare la sua digitalizzazione in un contesto di inflazione crescente.
Oltre a danneggiare la net neutrality, prosegue la dichiarazione congiunta, una misura come il fair share potrebbe disincentivare gli investimenti di rete, rallentare la velocità di internet e “permettere alle telco di sfruttare il loro monopolio sull’ultimo miglio per i propri interessi commerciali”.
Braccio di ferro piattaforme-telco
Le telco europee, al contrario, sostengono che il fair share rappresenti un “equo contributo” che le piattaforme digitali devono pagare ai fornitori dei servizi di telecomunicazione in quanto pesanti generatori di traffico dati sulle reti in banda ultralarga. Di recente, 20 gruppi delle tlc tra cui Tim e Vodafone, BT, Orange e Deutsche Telekom, hanno firmato una lettera rivolta alle autorità europee in cui chiedono una legislazione che affronti la questione.
“Serve un contributo equo e proporzionato da parte dei principali generatori di traffico ai costi delle infrastrutture di rete dovrebbero costituire la base di un nuovo approccio”, si legge nell’appello, firmato, tra gli altri, dall’Addi Tim, Pietro Labriola, e dalla ceo di Vodafone, Margherita Della Valle. Ma le telco chiedono anche una revisione della politica dello spettro, accettando la necessità di scala per evitare la frammentazione del mercato. “L’Europa deve agire per proteggere il suo futuro digitale”; a rischio, evidenziano le telco, ci sono gli investimenti degli operatori di rete e le “ambizioni politiche ed economiche” dell’Ue.