LA RECENSIONE

L’economia di ChatGpt fra false paure e veri rischi

Il nuovo libro di Stefano Da Empoli, presidente di I-Com, accende i riflettori sull’impatto concreto dell’intelligenza artificiale generativa e sui benefici enormi per il nostro Paese a patto di evitare errori, a partire dalle visioni fantascientifiche

Pubblicato il 02 Nov 2023

intelligenza artificiale 2

L’enorme clamore mediatico suscitato dal lancio di ChatGpt ha riportato l’intelligenza artificiale al centro di un dibattito multidisciplinare, come questione tecnologica, economica, strategica, etica e sociale. Il rilascio, negli ultimi mesi, di questo e di altri prodotti di Ai generativa, ovvero in grado di generare in pochi secondi testi, immagini, video e codici, suscita entusiasmi e timori. Ma come si è arrivati a questa evoluzione dell’Ai e come affrontarla oggi? Il tema viene dettagliatamente affrontato nel nuovo libro “L’economia di ChatGpt – tra false paure e veri rischi” scritto da Stefano da Empoli, presidente di I-Com, e edito da Egea.

Il libro narra questa rivoluzione e le sue possibili implicazioni economiche nei prossimi anni e decenni, con benefici che potrebbero essere enormi se sapremo evitare alcuni errori. Il primo è quello di temere che, in prospettiva, le macchine diventino come gli esseri umani oppure, all’opposto, deificarle, elevandole su un piedistallo per noi irraggiungibile. In entrambi i casi rinunceremmo all’unica visione corretta, quella di un’intelligenza artificiale al servizio della specie umana, perché in grado di farsi complementare ad essa anziché sostituirla.

Per questo, afferma Stefano da Empoli, occorre mettere da parte la fantascienza e concentrarsi sui veri rischi di oggi, dalla potenziale perdita di posti di lavoro alle violazioni della privacy, dai pericoli per la democrazia alle possibilità di inganno enormemente raffinate e senza limiti di scala ai danni di Stati, imprese e ignari cittadini. Senza dimenticare le sfide alla proprietà intellettuale come l’abbiamo conosciuta finora.

La speranza è che l’Europa e l’Italia ambiscano a giocare un ruolo, puntando sugli investimenti e non solo sulle regole.

La Gen Ai e i suoi limiti

Il libro parte da una breve storia dell’Ai negli Anni Dieci del XXI secolo, quando l’intelligenza artificiale era soprattutto “Made in Google”. Tuttavia, fino a tempi recenti, l’Ai sembrava una promessa non mantenuta. È stata “l’architettura transformer” a cambiare l’Ai e a superarne i limiti, finché i modelli generativi hanno fortemente accelerato la traiettoria di sviluppo e adozione della tecnologia.

Segue un’analisi di “vizi e virtù” dell’Ai generativa: il maggiore limite al momento sono le confabulazioni, le risposte totalmente fuorvianti, e la sensazione è che” il problema si affievolirà ma difficilmente potrà essere interamente risolto (almeno a breve termine). Questo è il rovescio della medaglia dei modelli basati sul deep learning rispetto a quelli simbolici. Mentre i secondi sono pre-programmati e rispondono dunque a regole definite in partenza (tra le quali per esempio il divieto di creare storie senza riscontro), i primi apprendono da soli. Per minimizzare il problema occorre dunque lavorare nella fase finale, quella del fine tuning, che prevede solitamente una supervisione umana”. È un limite, ma non preoccupante, perché “è possibile capire in base al tipo di prompt quando l’algoritmo ha più probabilità di risultare fallace”.

Inoltre, dobbiamo pensare a questi strumenti non come nostri sostituti bensì come “possibilmente utili assistenti” e, quindi, con “l’insindacabile compito del maestro, cioè il nostro, di non prendere come oro colato quanto ci viene detto ma di vagliarlo e integrarlo”.

Le conseguenze economiche di ChatGpt 

Il libro passa a esaminare le conseguenze economiche di ChatGpt, ripercorrendo anche studi precedenti, tra cui quelli di William Nordhaus, premio Nobel per l’Economia. “Dello studio di Nordhaus e soprattutto dell’ipotesi che pure lui considerava piuttosto remota di una possibile crescita esplosiva del 20% all’anno grazie a un’Ia in grado di eguagliare e superare le capacità umane si sono probabilmente dimenticati tutti, a parte qualche collega economista. Appariva una prospettiva così fuori dalla realtà che tutt’al più si poteva considerare un esercizio di stile o un lascito alle generazioni che probabilmente non era- no ancora nate. Almeno fino all’arrivo di ChatGpt e dell’Ia generativa”.

Oggi si torna a parlare di potenzialità dell’Ai di spingere la crescita economica e la produttività: secondo uno studio di Goldman Sachs, un’ampia adozione dell’Ai generativa potrebbe portare a un aumento annuale del Pil globale di circa 7 mila miliardi di dollari, pari al 7%, su un periodo di dieci anni. McKinsey&Company, dopo aver analizzato 63 possibili casi d’uso, approda a numeri abbastanza simili, ipotizzando benefici economici compresi tra 6,1 e 7,9 mila miliardi di dollari, con un incremento degli impatti complessivi dell’Ai tra il 35 e il 70% rispetto alle stime che aveva già effettuato nel 2017.

L’ottimismo potrebbe continuare a dimostrarsi eccessivo, ma gli impatti stimati potrebbero non essere così lontani dalla prossima realtà.

Oltre la fantascienza: i veri rischi

Su rischi e opportunità, Stefano da Empoli respinge gli accostamenti tra Ai e fantascienza o, addirittura, tra Ai e il cosiddetto “Oppenheimer moment”. Più concreti sono altri rischi, come quello dell’uso dell’Ai generativa da parte del cyber-crime per sferrare attacchi e diffondere disinformazione. Ci sono, inoltre, i rischi per la proprietà intellettuale e per la privacy.

“Un altro versante, molto allarme, specie tra le imprese che dovrebbero usare strumenti di Ia generativa, riguarda i profili di privacy”, scrive l’autore. “I dipendenti, infatti, potrebbero facilmente esporre dati sensibili e proprietari dell’impresa, interagendo con soluzioni chatbot basate sull’Ia generativa. Queste applicazioni sono in grado, almeno in linea teorica, di conservare indefinitamente le informazioni catturate attraverso gli input degli utenti e persino utilizzare tali informazioni per addestrare altri modelli, compromettendo ulteriormente la riservatezza. Le informazioni potrebbero inoltre finire nelle mani sbagliate in caso di una violazione della sicurezza”.

Tra il dire e il fare: gli investimenti

L’Unione europea, pur consapevole dei rischi dell’Ai, crede nelle sue opportunità. Ma il divario di investimenti con Cina e Usa è ancora gigantesco.

Lo studio cita diverse fonti, tra cui l’Ai Index prodotto annualmente dall’Università di Stanford: gli Stati Uniti hanno visto gli investimenti privati crescere da 21 miliardi di dollari a 47,4 nel 2022, dopo aver toccato il record di 73,4 miliardi nel 2021, contro l’Unione europea (incluso il Regno Unito) che passa nello stesso periodo da 2,74 miliardi di dollari a 11,04. Considerato che nel 2022 il Regno Unito attraeva 4,37 miliardi di dollari, il risultato per l’Unione europea è di 6,77 miliardi di dollari, sostanzialmente la metà della performance cinese (13,41 miliardi di dollari, in leggera diminuzione rispetto ai 13,96 miliardi del 2018).

L’Italia: imprese in vantaggio ma non c’è una strategia politica

Sul fronte delle regole, il libro esamina pregi e limiti dell’Ai Act europeo (corretti, però, almeno in parte dagli emendamenti del Parlamento Ue) e si conclude con un’analisi sulla situazione in Italia. L’adozione dell’Ai nelle imprese permette un cauto ottimismo, secondo Stefano da Empoli: “Sono essenzialmente cinque le caratteristiche che potrebbero consentire alle imprese del nostro Paese di presentarsi all’appuntamento con l’Ia in migliori condizioni di quello che comunemente si potrebbe pensare: la flessibilità organizzativa, la personalizzazione del prodotto, la centralità del B2B, la co-opetition tipica dei distretti industriali e la crescente possibilità di accedere a tecnologie sofisticate come l’Ia a costi ridotti”.

Tuttavia, si legge ancora, “I potenziali vantaggi competitivi associati al ricorso alle tecnologie di Ia da parte del sistema produttivo italiano sono tutt’altro che garantiti. Perché possano tradursi in realtà in un numero sufficientemente ampio di aziende devono poter essere accompagnati da due elementi decisivi: a livello micro, cambiamento organizzativo e rafforzamento delle competenze; a livello macro, impegno delle istituzioni e della rappresentanza di impresa a fornire tutto il supporto necessario per l’upgrade richiesto. Quel che è certo è che finora è mancato un impegno adeguato di attenzione, prima ancora di fondi stanziati, da parte dei governi che si sono succeduti dal 2018 a oggi, nessuno escluso. A cominciare dalla stesura di una vera strategia nazionale, condizione necessaria per governare una materia così trasversale a tante aree di policy e provare a spendere utilmente i fondi pubblici che si è in grado di mettere in campo”.

Stefano da Empoli è anche docente di Economia politica presso l’Università Roma Tre e membro della European Ai alliance, forum promosso dalla Commissione europea per discutere i profili di policy per questa tecnologia. È, inoltre autore di “Intelligenza artificiale: ultima chiamata” (Bocconi Editore, 2019).

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