Con gli interventi del Pnrr, “per i quali abbiamo già assegnato le risorse alle Regioni, puntiamo nel 2026 a portare al 10% la quota degli over 65 in assistenza domiciliare integrata” e “in pochi mesi abbiamo recuperato i ritardi trovati. Ad oggi 9 regioni hanno pienamente raggiunto il target per il 2023 per cui possono già accedere alla quota di finanziamento che spetta loro”. Così il ministro della Salute Orazio Schillaci intervenuto in videocollegamento a Frontiers Health Italian Summit 2023 su ‘Sanità digitale e terapie digitali: integrazione sistemica e valore per l’Italia‘ sottolineando che “la digitalizzazione della Sanità è una delle scommesse più grandi” e su questo “l’Italia è molto impegnata”. Una grande opportunità di sviluppo, ha detto Schillaci, ” che va anche oltre l’ambito sanitario”.
In epoca pre-Covid i progetti di telemedicina avviati erano 282, nel 2021 risultavano già attivate ben 369 esperienze con un grande aumento soprattutto nel campo delle televisite, ha riferito il ministro della Salute ricordando un progetto pilota, nato proprio nell’ambito del Pnrr “che ha destinato 50 milioni di euro per promuovere l’utilizzo diffuso delle televisite”. Prosegue inoltre il lavoro avviato insieme ad Agenas per realizzare la Piattaforma nazionale di Telemedicina.
Uno strumento per diminuire le disuguaglianze
La sanità digitale, ha ancora evidenziato Schillaci, “è uno strumento fondamentale per far diminuire le tante, troppe, inaccettabili diseguaglianze che sono ancora presenti nel nostro territorio nazionale nell’erogazione delle prestazioni sanitarie. Pensiamo su questo a quanto la digitalizzazione delle cure può incidere, come strumento di prossimità, nel caso delle malattie croniche che sono realmente un grande problema per la nostra Nazione e nell’assistenza agli over 65, che nel 2050 saranno il 35% della popolazione italiana”.
L’infrastruttura digitale sarà inoltre uno strumento operativo al servizio della multidisciplinarietà, per una più immediata integrazione tra l’assistenza territoriale e quella ospedaliera. Strumento chiave è il Fascicolo sanitario elettronico. “Lo abbiamo finalmente fatto entrare nella fase operativa”, ha detto Schillaci, ma “sappiamo che ancora oggi solo un cittadino su tre lo utilizza. Durante la pandemia, si è registrato un picco di uso ma dalle più recenti rilevazioni, purtroppo, non sembra che questo trend di crescita sia continuato nel tempo”.
Il 59% degli italiani contrario alla condivisione dei dati sanitari
A proposito di diseguaglianze, intanto, un sondaggio elaborato da Youtrend/Quorum per il progetto Net-Health, Sanità in rete 2030, il policy enabler ideato nel 2021 dallo studio legale LS Cube, rivela che per il 45% dei nostri connazionali l’innovazione garantirà il diritto alla salute, ma il 43% di loro pensa che la tecnologia avrà l’effetto inverso, aumentando le disuguaglianze.
Uniforme, invece, la posizione della politica: oltre il 90% dei decisori (95% dei parlamentari e 94% dei consiglieri regionali), infatti, pensa che il progresso tecnologico tenderà a garantire a tutti il diritto alla salute. E sulla questione della privacy rispetto ai propri dati sanitari? Secondo il sondaggio la maggior parte dei cittadini (59%) è contraria alla condivisione dei propri dati sanitari a fini commerciali o altruistici (35% abbastanza contrario e 24% molto contrario). Elementi interessanti che evidenziano la necessità di intervenire per creare una cultura della condivisione dei dati, in un contesto regolamentato che stimoli un approccio più favorevole.
Fiaso: tecnologia diffusa ma la telemedicina arranca
Intanto, una fotografia scattata da un’indagine di Fiaso, la Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere, su 74 aziende territoriali in tutta Itali, rivela che la tecnologia sembra molto diffusa ma non altrettanto le esperienze per il controllo dei pazienti da remoto a supporto della assistenza a domicilio e solo in dieci aziende si registrano progetti a supporto dell’assistenza territoriale. Tra le esperienze realizzate, nel 32% dei casi la telemedicina si è concretizzata in visite virtuali del paziente dall’ospedale mentre solo nel 16% dei casi è stato possibile realizzare il telemonitoraggio del paziente a domicilio da parte del medico di medicina generale. Risultati incoraggianti, invece, per il teleconsulto tra professionisti del territorio e fra questi e gli ospedalieri, realizzato nel 46% delle strutture, un passo in avanti nell’integrazione.
“Non disperdere le sperimentazioni avviate durante la pandemia”
Sul fronte dell’infermiere di famiglia e di comunità, questa figura risulta nel 70% delle aziende sanitarie monitorate da Fiaso, con differenze tra Nord (95%), Centro (70%) e Sud (30%). Quanto al loro reperimento per raggiungere gli standard previsti, la maggior parte delle realtà esaminate nell’indagine Fiaso prefigura una riorganizzazione complessiva del personale del quale dispone. “Quello che emerge è un quadro composito, che rende conto di un lavoro avviato ma, ovviamente, ancora in progress – commenta il presidente Fiaso, Giovanni Migliore – ci vogliono regole nuove in particolare per il mondo digitale: penso ai consulti medici per i quali non è necessario recarsi in ambulatorio o in ospedale, devono essere offerti a distanza“. Un vantaggio per il paziente che non è costretto a spostarsi da casa e per l’organizzazione che può riuscire a mettere in calendario un numero maggiore di visite. “Quanto alla telemedicina e allo sviluppo dell’assistenza territoriale – conclude Migliore – un contributo fondamentale deve arrivare dai medici di medicina generale. Non bisogna disperdere il grande patrimonio di sperimentazioni avviato durante la pandemia quando c’è stata una spinta significativa sulla medicina da remoto”.